In Serbia la protesta anti-Vucic cambia pelle (e si nazionalizza)

La rabbia contro il governo degli studenti che ha riempito le piazze fa i conti con le nuove presenze in piazza di estremisti di destra. E riaffiorano parole d'ordine come "onore" e "so
July 15, 2025
In Serbia la protesta anti-Vucic cambia pelle (e si nazionalizza)
Ansa | Tensioni tra manifestanti e polizia nei cortei anti-Vucic in Serbia
Dopo otto mesi di incessanti manifestazioni di piazza, la protesta studentesca in corso in Serbia sembra essere arrivata a un punto di svolta. Quella che finora era stata una rivolta contro la corruzione e l’oppressione del regime di Belgrado rischia adesso di imboccare una strada più oscura. Nei cortei le grida per la libertà si mescolano sempre più a cori nazionalisti e bandiere con croci ortodosse. Alcuni analisti parlano apertamente di «nazionalizzazione della protesta», denunciando una svolta a destra che minaccia di deviare le richieste di trasparenza, giustizia e democrazia verso territori pericolosi. Mentre le università del Paese sono ancora occupate dagli studenti, sempre più spesso la narrazione si sposta su temi come l’“onore serbo”, la “sovranità contro Bruxelles” o il ruolo della Chiesa ortodossa.
Domenica scorsa una folla di giovani ha bloccato di nuovo il ponte Gazela, nel centro di Belgrado. Dai megafoni si sono alzati i consueti cori contro il presidente Vucic, accusato di aver trasformato la Serbia in una «democrazia autoritaria». Ma a margine del corteo sono comparse facce nuove e simboli che finora non si erano mai visti: stendardi con l’aquila bicipite, striscioni con slogan patriottici e croci ortodosse. Negli ultimi giorni, le proteste che da mesi scuotono la Serbia sembrano aver cambiato volto. Non c’è più solo la rabbia degli studenti contro la corruzione. La piazza, nata spontaneamente in seguito al crollo della pensilina della stazione ferroviaria di Novi Sad che ha causato la morte di sedici persone, ora sembra essere diventata terreno di scontro identitario. A segnare una cesura simbolica è stata la grande manifestazione del 28 giugno scorso, in occasione del Vidovdan, festività nazionale carica di significato storico e religioso. Quel giorno, circa duecentomila persone si sono radunate nella capitale, in piazza Slavija, per una manifestazione pacifica cui la polizia ha risposto con manganelli, idranti e arresti di massa. Ma ciò che ha colpito di più è stato l’ingresso di gruppi di estrema destra nella dinamica della protesta. Militanti con divise nere, simboli ultranazionalisti e slogan contro l’UE hanno fatto capolino nei cortei. In alcune città, come Novi Sad e Kragujevac, sono stati documentati scontri tra manifestanti “civili” e frange più dure, spesso legate a gruppi paramilitari. Secondo fonti giornalistiche, agenti e consiglieri russi avrebbero anche fornito supporto logistico e consulenza alle forze di sicurezza serbe nella repressione delle proteste. Il governo Vucic appare deciso a capitalizzare questo cambiamento.
Da un lato reprime duramente il dissenso, arrestando decine di manifestanti con l’accusa di blocco illegale delle vie pubbliche o istigazione al disordine. Dall’altro, accusa l’opposizione e gli studenti di essere strumenti di potenze straniere, dipingendoli come nemici della “vera Serbia”. Un linguaggio che non fa che rafforzare la polarizzazione rendendo ancora più fertile il terreno per le frange nazionaliste. «Eravamo lì per manifestare contro la corruzione del governo – racconta Milica, studentessa 24enne di medicina – ma c’era gente che gridava “il Kosovo è Serbia” e sventolava bandiere che non fanno parte della nostra protesta». Anche alcuni leader del movimento hanno preso le distanze da questa svolta. Il collettivo “Ulica je naša” (“La strada è nostra”) ha denunciato «tentativi deliberati di sabotaggio da parte del governo e di gruppi estremisti infiltrati nella piazza».
Il rischio concreto è che la protesta perda la sua anima originaria e con essa, anche la possibilità di portare un reale cambiamento democratico nel Paese.

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