Economia

L'inchiesta/4. La responsabilità sociale chiama, i Cda rispondono

Andrea Di Turi lunedì 25 aprile 2016
Si chiama autoreferenzialità uno dei problemi e dei rischi maggiori che le imprese impegnate nella responsabilità sociale (csr) devono gestire. Significa che non si può decidere da soli quali sono le dimensioni, sociali, ambientali e di governance, su cui venire valutati e su cui rendicontare ad esempio nel bilancio sociale. Ma che, consapevoli del fatto che presidiare le innumerevoli dimensioni della csr è un compito a dir poco arduo anche per le grandi aziende, è opportuno confrontarsi con soggetti che guardano all’azienda dall’esterno. Per definire in modo partecipato e condiviso su quali versanti è più corretto e utile che un’impresa s’impegni e venga quindi valutata. Va in questa direzione il progetto "Responsabilità d’impresa per il bene comune" di Retinopera, la rete delle principali associazioni laiche cattoliche italiane, che ha lanciato una sorta di sondaggio con cui chiede appunto ai cittadini di pronunciarsi su quali siano gli aspetti che ritengono più importanti nel fare attività d’impresa in modo responsabile. Del resto sono le stesse aziende che hanno cominciato ad allargare lo sguardo per confrontare strategie e politiche di csr con l’esterno, coinvolgendo cioè i loro stakeholder, i gruppi di portatori d’interessi nei loro confronti: oltre ai dipendenti, i clienti e i fornitori, gli investitori, le organizzazioni della società civile e le comunità. In particolare, li hanno coinvolti in un’attività nota agli addetti ai lavori come analisi di materialità.
L’argomento è stato discusso a fondo nei giorni scorsi al convegno annuale del Csr Manager Network, l’associazione promossa dieci anni fa da Altis (Alta scuola Impresa e società dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano) e Isvi (Istituto per i Valori d’impresa) che riunisce gli uomini d’azienda, spesso indicati proprio col termine di csr manager, e i professionisti che si occupano di csr nelle rispettive organizzazioni, fra cui anche enti non profit e Pubblica amministrazione. Nell’incontro è stata infatti presentata un’approfondita ricerca su quasi un centinaio di imprese italiane per comprendere come l’analisi di materialità viene effettuata e quali risultati produce. Lo studio ha confermato che il problema dell’autoreferenzialità si pone, come ha dichiarato quasi la metà (48,2%) delle imprese. Ed è anche per questo che i due terzi (66,1%), oltre ad ascoltare gli stakeholder, si rivolge a consulenti esterni per garantirsi un maggior rigore metodologico. Ma è anche emerso, e sembra uno dei risultati in prospettiva più rilevanti, che rispetto ad altre attività di csr l’analisi di materialità riesce a coinvolgere molto di più i vertici aziendali: in quasi i tre quarti (72,5%) delle imprese considerate, infatti, i vertici sono direttamente responsabili della validazione dei risultati dell’analisi. E in oltre il 55% dei casi nel processo di valutazione dei temi di sostenibilità è coinvolto l’amministratore delegato. «L’analisi di materialità sembra rappresentare una sorta di chiave – ha commentato per Altis il professor Mario Molteni – per far entrare la csr nell’agenda dei consigli di amministrazione». È anche questo un modo di renderla più popolare.