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La pandemia sociale/17. Ecco come il "modello Milano" aiuta i poveri della pandemia

Lorenzo Rosoli domenica 23 agosto 2020

Dai primi di luglio è partito il viaggio di "Avvenire" nella "pandemia sociale": l'inchiesta che racconta l'emergenza economica causata dal coronavirus. Città per città, territorio per territorio, il nostro impegno porta ai lettori la fotografia di un'Italia piegata dal Covid-19. TUTTI GLI ARTICOLI DELL'INCHIESTA

«Prima che scoppiasse la pandemia aiutavamo 48 famiglie. Ora sono 112, che sosteniamo con buoni spesa e pacchi viveri. E fra loro c’è chi si sta indebitando. Quanta gente che una casa ce l’ha, che fin qui sopravviveva con lavori precari o in nero che ora ha perso, o non bastano più, e che mai e poi mai si sarebbe sognata di chiedere aiuto», racconta Magda Bajetta, fondatrice e presidente di Ronda della Carità, associazione nata a Milano nel 1998 per prendersi cura delle persone senza dimora. «Anche a noi si sono rivolte famiglie mai viste prima. E molte sono italiane. Quante persone impiegate, sottopagate, sfruttate per anni nelle attività e nei locali della città, e poi lasciate senza lavoro, o pagate peggio di prima, in questi mesi! Ma se lasciamo indietro gli ultimi, rischiamo guerre tra poveri e gravi tensioni sociali», incalza padre Marcello Longhi, presidente dell’Opera San Francesco (Osf), storica realtà caritativa milanese.

«Il 42% dei lavoratori ha subito una ripercussione di carattere economico dall’emergenza sanitaria. Così risulta dai primi dati di un’indagine che stiamo realizzando a livello regionale su un campione di aziende e di lavoratori. E Milano sta pagando il prezzo più alto sul piano dell’impatto sociale, produttivo e occupazionale della pandemia. Un impatto legato proprio a quelli che, fin qui, erano i fattori del successo del modello Milano, con la sua spiccata vocazione internazionale e la sua forza attrattiva», spiega Mirko Dolzadelli, segretario Cisl Lombardia con delega alle politiche del lavoro. «La 'locomotiva' Milano si è fermata. Ma non si è spenta. E mostra i primi timidi segnali di ripresa. Ma ripartire come prima non basta. L’emergenza sanitaria ha messo in crisi alcuni punti di forza del 'modello Milano' e ha portato alla luce una fascia sociale borderline di persone e famiglie che, prima, sopravvivevano ai confini della povertà, per non parlare dei veri e propri working poors», sottolinea Pasquale Seddio, docente di economia aziendale all’Università del Piemonte Orientale e presidente dell’Opera Cardinal Ferrari, altra importante, popolare istituzione ambrosiana nata quasi un secolo fa, nel 1921, per volontà del beato Andrea Carlo Ferrari, cardinale arcivescovo di Milano.

Ecco il punto. Milano viene da anni col vento in poppa, che ne hanno fatto il caso di successo italiano nel mondo. La città dell’Expo e del post Expo, della finanza, della moda, delle archistar, degli eventi, del turismo internazionale. Ma anche della cultura, delle università, della sanità. The place to be. Locomotiva e modello. E finché la locomotiva tirava, anche 'quasi poveri' e working poors riuscivano a stare a galla. Ma ora che la pandemia ha costretto la locomotiva a frenare, in tanti sono finiti – o stanno finendo – sotto la soglia critica. E ci si rende conto che la locomotiva tirava grazie anche a tutto quel lavoro precario, fragile, nero – colf e badanti, donne delle pulizie e lavapiatti, camerieri, rider, muratori... – che ne alimentava la corsa. E che ora chiede riconoscimento. E giustizia. O si rischiano davvero guerre tra poveri. Evitate fin qui grazie alla straordinaria mobilitazione della solidarietà ambrosiana, che ha affiancato le istituzioni, a partire dal Comune, il terzo settore e il volontariato in vari ambiti e in ogni quartiere, a partire dalle periferie. Si pensi alla rete del supporto alimentare, che dal 16 marzo in 15 settimane ha aiutato 6.337 famiglie per un totale di 20.744 persone, distribuendo 616 tonnellate di cibo; o al sostegno nel pagamento degli affitti, con il Comune che prevede di aiutare 4.500 nuclei; o al contrasto dell’abbandono scolastico e del digital divide. Ora, però, la sfida è andare oltre l’emergenza. Affrontando fragilità, contraddizioni, iniquità del 'modello Milano'.

«Conosco un ragazzo di colore che finalmente ha potuto riprendere a lavorare. Lavapiatti, in un ristorante. Lo hanno preso. E messo in cassa integrazione. Ma continuano a farlo lavorare, e senza pagarlo: 'tanto prendi la cassa integrazione', gli hanno detto. E lui accetta. Non ha alternativa. Teme di essere lasciato a casa quando terminerà il blocco dei licenziamenti. Questa è la cartina di tornasole di una Milano che deve cambiare – s’infervora Bajetta – . Intanto aumentano i senza dimora. Chi perde il lavoro non può più permettersi nemmeno i 150-200 euro al mese per un posto in una stanza stipata di letti a castello. Sono molto preoccupata per settembre – insiste la presidente di Ronda della Carità –. Penso alle tante donne sole, lavoratrici, con figli, che ci chiedono aiuto: se non partiranno servizi educativi accessibili – per costo e orari – dovranno scegliere fra lavorare e occuparsi dei bambini!».

«Il lavoro fragile, precario, sfruttato, ci chiama a una nuova visione più inclusiva, più 'francescana', delle relazioni economiche – insiste padre Longhi –. All’inizio dell’emergenza ho visto crescere la solidarietà fra i poveri, mentre ora la tensione torna a crescere. Perciò serve, con l’aiuto materiale a chi è nel bisogno, una pacificazione delle relazioni e del linguaggio. Anche da parte della politica. Come Opera San Francesco abbiamo istituito il 'Fondo Prendiamoci Cura. Oltre il Covid 19' per dare ai nostri poveri sostegno economico per i mesi duri che ci attendono, ma anzitutto ascolto e dialogo».

Ecco: come andare oltre la pandemia? Come affrontare il suo drammatico impatto sociale? «Serve un grande patto per il lavoro per un nuovo modello socio- economico milanese e lombardo – risponde Dolzadelli –. E serve ridurre quella polarizzazione che negli ultimi anni ha portato investimenti e lavoro a Milano a discapito delle aree più periferiche della regione. Serve investire sulla sanità, sul welfare, sulle catene globali del valore. E riscoprire la centralità della persona rispetto alle derive speculative dell’economia. La nostra indagine mostra come la perdita di potere d’acquisto delle famiglie generi una caduta dei consumi che rischia di incidere più del mancato export. E conferma come la pandemia abbia aggravato e accelerato una situazione di rallentamento dell’economia lombarda segnalata fin dallo scorso autunno da 'sintomi' quali il calo di export e consumi e l’impoverimento della 'qualità occupazionale' – i tanti contratti a termine, i tanti part time spesso involontari... I settori più colpiti? Il turismo, la ristorazione, il commercio; tutto quell’ambito che va dallo sport allo spettacolo, alla cultura, alle fiere, ai grandi eventi. E poi: il trasporto passeggeri, il tessile, l’abbigliamento, l’edilizia, il legno-arredo, il metalmeccanico. Tanti di questi sono settori cruciali per Milano».

«La pandemia – scandisce Pasquale Seddio – ha disseminato di 'mine' – anche sociali, economiche, relazionali – la nostra città. Ora servono 'artificieri'. Com’è stato e com’è il terzo settore: che durante il lockdown ha aiutato le istituzioni a non lasciare solo nessuno – noi della Cardinal Ferrari, ad esempio, siamo riusciti a non fermare mai la mensa, l’assistenza medica e gli altri nostri servizi – e che il governo, però, ha trascurato nelle politiche di sostegno. Ci attende un autunno difficile. E Milano ha bisogno di una politica per i più fragili e per i nuovi poveri. Oltre le classiche politiche sociali, serve creare lavoro, soprattutto per i giovani. E migliorare la qualità della spesa pubblica, perché le grandi risorse che si stanno mobilitando non si traducano solo in debito sulle spalle dei nostri figli».

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