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Novecento. Nazisti in fuga? Non grazie alla Chiesa

<+FILO_TESTA><+FIRMA_TESTA>Angelo Picariello martedì 26 maggio 2015
La Chiesa e il Vaticano non aiutarono in alcun modo la fuga dei criminali nazisti. Se questi riuscirono a infiltrarsi fra i profughi con documenti falsi o a utilizzare canali diplomatici per raggiungere l’America del Sud o altre nazioni dove potevano contare su valide coperture, non c’è traccia di connivenze di ecclesiastici o organizzazioni cattoliche, impegnate solo in una attività umanitaria. Esce in questi giorni Oltre la leggenda nera (Mursia, pagine 430, euro 22,00), a firma di Pier Luigi Guiducci, docente di Storia della Chiesa presso il Centro diocesano di teologia per laici “Ecclesia Mater” della Lateranense, che lo presenterà venerdì alle 17.00 presso la Radio Vaticana (Sala Marconi). Un lavoro decennale a rovistare negli archivi tedeschi, croati, italiani, argentini, statunitensi per confutare tesi rivelatesi preconcette o romanzate che non hanno retto alla verifica storica. Guiducci qualche stereotipo lo aveva già demolito con una precedente ricerca, Il Terzo Reich contro Pio XII, e ora – come attesta il gesuita Peter Gumpel, relatore della causa di beatificazione di papa Pacelli nella prefazione – «è stato in grado di dimostrare che le tesi di vari autori esprimono in più casi, solo delle opinioni, delle supposizioni, delle convinzioni personali non confermate da documenti storici, non attente ai dati divulgati dopo l’apertura di diversi archivi statali». Per cui, conclude padre Gumpel, «sarebbe antistorico voler a tutti i costi presentare una Chiesa asservita ai criminali. Ma sarebbe soprattutto ingiusto relegare nell’oblio quell’alto numero di volontari cattolici che seppero accogliere, sostenere e accompagnare gente crocifissa nel fisico e nell’animo».L’operazione Odessa, dal nome della località in cui si tenne la riunione segreta per pianificare la fuga divenuta anche un best seller, lei la colloca a metà fra romanzo e storia. Che idea si è fatta?«A partire dalla testimonianza dello stesso Priebke (fuggito in Argentina), Odessa fu un nome utilizzato per distogliere l’attenzione degli investigatori da altri fatti. Anche molti figli di alti gerarchi nazisti hanno confermato che gli spostamenti furono possibili grazie a conoscenze realizzatesi prima della guerra e negli anni del conflitto. È noto poi che la Germania, prima del 1939, aveva già sue comunità in America del Sud, investimenti, alleanze politiche. I nazisti furono accolti perfino nelle fila dell’intelligence alleata in funzione anticomunista (su queste vicende i documenti sono desecretati)».Come si arrivò a ipotizzare il coinvolgimento della Santa Sede – da Pio XII fino al sostituto della segreteria di Stato Montini – nell’operazione?«Alcuni autori sono partiti da un input ideologico, senza descrivere prima l’esatto percorso storico di ricerca. L’azione vaticana, con le sue diramazioni, mirata a non chiudere canali d’informazione e assistenza, è stata capziosamente letta come connivenza con ricercati. Un autore come Goñi non si è fatto problema a usare  il termine “criminale” verso ecclesiastici fin dalle prime pagine del suo libro, però – in allegato – non ho trovato riprodotto alcun documento-chiave, si tace su elementi fondamentali di quel periodo, si dà spazio a digressioni inutili (le preferenze di Perón verso minorenni). Si è sostenuto che gli organismi assistenziali cattolici (collegati a Pio XII e a Montini) coprivano certe fughe. Ma non è stato scritto che i criminali avevano già una falsa identità». La cosiddetta “via dei conventi”, quindi, fu un’opera umanitaria verso i profughi. Mentre i gerarchi avevano mezzi e canali per fare da soli.«I conventi, o le parrocchie, gli istituti religiosi, aprirono le porte ai profughi. Mentre, attraverso la stampa del tempo che ricorda anche arresti di nazisti avvenuti ad esempio in Sud Tirolo, si è potuto costruire una mappa di rifugi di altro tipo usati da chi conservava disponibilità di risorse e connivenze. Seguendo poi i documenti d’identità conservati in più archivi non è stato difficile individuare i Comuni che rilasciarono documenti falsi».È possibile che di quest’opera umanitaria abbia potuto beneficiare anche qualche criminale?«I criminali nazisti arrivavano in Italia come figure anonime, con documenti falsi. Vestivano senza ricercatezza. Potevano pagare i più diversi interlocutori. Non avevano accanto commilitoni. Si presentavano, a volte con moglie e figli piccoli, come profughi, senza che questo chiami in causa la responsabilità di chi effettuava l’opera di assistenza. Si pensi che i nazisti che collaborarono con l’esercito Usa ebbero tutti documenti falsi rilasciati dagli stessi statunitensi. I riscontri sono stati effettuati proprio a Washington».A Genova è finito nel mirino anche il cardinale Siri, per gli aiuti che avrebbe offerto a dirigenti in fuga del regime croato filo-nazista degli ustascia.«L’attacco a Siri si è dimostrato privo di riscontri. Dai documenti ritrovati sono emerse perfino due lettere del sacerdote croato Karl Petranovic con lamentele verso Siri per il trattamento avuto a Genova. E non hanno trovato fondamento anche le polemiche su manovre oscure del prete croato don Draganovic. A dire il vero emergono per lui rapporti su tutt’altro versante, il generale Clark gli concedeva una jeep per visitare i campi, l’ambasciatore americano lo riceveva...».E per quanto riguarda il vescovo austriaco Alois Hudal, tristemente noto per il suo appoggio al regime nazista?«Anche su Hudal il quadro che emerge è diverso dagli stereotipi, sono stati ritrovati rapporti e lettere ove difende gli ebrei. Non era quindi antisemita. In altre contesta alle autorità del tempo le tristi condizioni di campi di internamento».Come ne esce la figura di Pio XII, quali nuovi elementi ha potuto reperire a chiarire il ruolo della Santa Sede in quegli anni bui?«Pio XII affermò chiaramente che i criminali andavano processati. Con altrettanta chiarezza affermò che ogni persona accusata doveva affrontare regolari processi, che non si potevano accettare tutte quelle condanne a morte decise in modo sommario, sovente con motivazioni non legate al conflitto. Erano ugualmente condannate torture, atti di sadismo, violenze alle popolazioni civili, prigionie che non rispettavano gli accordi di Ginevra. Parallelamente si realizzò un’estesa opera di assistenza cattolica a internati (militari e civili), a famiglie da ricongiungere, malati gravi, infermi mentali, persone senza tutela giuridica, prive di denaro, vestiti, occhiali, supporti per la deambulazione, terapie... I vescovi intervennero per migliorare le condizioni di vita degli internati. Le popolazioni locali offrirono cibo attraverso i cappellani. Si cercarono soluzioni abitative per gli sfollati. La Chiesa fu l’unica a garantire una rete di sostegno a livello centrale e periferico. Ma la copertura dei criminali nazisti in fuga non c’entra».