Agorà

Idee. La danza della vita da cui l'esule viene estromesso

Giovanni Cesare Pagazzi domenica 23 aprile 2023

Una danza sacra durante la veglia di Pentecoste

«Voglio vederti danzare». Così comincia la trascinante canzone di Franco Battiato, pubblicata nel 1982. Il testo evoca giovani e anziani, donne e uomini, corti imperiali e balere popolari, musiche d’ogni dove, tribù e nazioni, popoli stanziali e nomadi, corteggiamenti e mistiche, scene di festa e zone di guerra. Battiato vede l’unità e la differenza del mondo attraverso la danza e, lui stesso tirato in ballo, osserva la storia come una grande coreografia. Effettivamente, la danza accomuna i popoli e, forse, prima di esserne espressione ne è l’origine. Con la cucina è probabilmente il più antico gesto artistico dell’umanità. Diverse sono le ipotesi circa i suoi inizi. Tra le più convincenti sta quella che li intravede nella caccia. Infatti, muoversi in gruppo, in modo coordinato, tanto da formare un’unica “figura” era condizione necessaria per le tattiche venatorie primitive.

Probabilmente, queste stesse battute di caccia venivano in seguito mimate dai protagonisti al resto del clan, come un racconto. Se così fosse, l’agilità e la gratuità dei corpi che ballano sarebbe germinata dalla faticosa e perfino mortale necessità di sfamarsi. Il fiore della gratuità ha le radici nella necessità. La danza esprime forze vitali incontenibili, esaltanti e paurose, come le energie erotiche e omicide delle baccanti nell’omonima tragedia di Euripide, o il ballo di Salomè, che fece uscir di senno il re Erode (Marco 6,22). Tuttavia, essa risulta da una disciplina severa e precisa, perfino nelle coreografie apparentemente improvvisate come quelle di Pina Bausch (non per nulla si va a scuola di ballo). Al pari d’ogni ogni arte, vive dell’equilibrio instabile tra forze e forme; se le une prevalessero sulle altre sparirebbe l’incanto e irromperebbe l’incantesimo.

Come ogni arte, sente in anticipo i cambi di stagione dell’anima: il desiderio di levità e di altezza (la danza classica occidentale è tutta in punta di piedi, balzi, elevazioni), o l’attrazione gravitazionale della vita faticosa (il ballo contemporaneo ha i piedi per terra, fa cadere, rialzare e cadere). Per il protagonista del romanzo Zorba il greco di Nikos Kazantzakis, la danza è il linguaggio più adatto a testimoniare l’innegabile, commovente bellezza della vita, nonostante la Necessità o il Caso, maschere con cui Dio spesso nasconde il suo volto. Perciò la danza è una porta aperta sul sacro e sul religioso; essa stessa sacra e religiosa. Basta pensare al ballo con cui Shiva crea e distrugge ciclicamente il cosmo. Per la Bibbia, alcune situazioni sono talmente speciali da rendere insufficiente la preghiera fatta solo di parole, anche poetiche.

Perfino la musica e i canti risultano inadeguati. Solo la danza è all’altezza. Così fecero le donne israelite subito dopo l’attraversata del Mar Rosso (Esodo 15,19-20); e il re Davide che ballò freneticamente, quasi nudo, davanti all’Arca dell’alleanza (2 Samuele 6,14-16). La grande profezia che chiude il libro dei Salmi – “ogni respiro darà lode al Signore” (Salmo 150,5) – sboccia in un concerto universale che coinvolge anche le stelle; tutto è musica: trombe, arpe, cetre, cembali, flauti, tamburi. Tutto danza (Salmo 150,1-4). Nel Paradiso dantesco si balla. Eccome. Danzano addirittura le compostissime, luminose anime dei “Sapienti”. Raccontano, argomentano, spiegano, rispondono ai dubbi del poeta, ma la loro principale attività è danzare (Paradiso, X, XI, XII, XIII, XIV). Sarà anche per questo che proprio i Sapienti esprimono più di tutti i beati il desiderio di riavere i propri corpi?

La danza è talmente originaria e misteriosa da vibrare seminascosta in esperienze e parole inaspettate. Ad esempio, il vocabolo “console” deriva da cum, “con”, e “sul”, un antico termine latino che significa “saltare”, “danzare”. La politica sarebbe quindi l’arte di danzare-con, danzare insieme, la capacità di trasformare in coreografia persone, popoli, culture, sensibilità diverse. Perfino “presule”, sinonimo di “vescovo”, deriva da sul e avrebbe il significato di “primo ballerino”, colui che “apre le danze”. Chi l’avrebbe mai detto? Probabilmente anche “esule” ha a che vedere con sul (non con il più facile ed evidente “sol”, “suolo”); sicché l’esule non è l’escluso dalla terra, ma ancor peggio: è allontanato dalla danza, dai giochi, dalla vita. Se così è, dire a tutto il mondo «Voglio vederti danzare», non è poi così diverso dall’augurargli: «La pace sia con te».