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Archeologia e Bibbia. Ecco il sigillo che appartenne al profeta Isaia

Giorgio Bernardelli martedì 27 febbraio 2018

il sigillo di 2.700 anni fa che riporterebbe il nome del profeta Isaia (Ouria Tadmor/Eilat Mazar)

La 'firma' del profeta Isaia su un sigillo di oltre 2700 anni fa. In un articolo apparso sulla 'Biblical Archeology Review' ipotizza di averla trovata a Gerusalemme l’archeologa Eilat Mazar, della Hebrew University, in uno scavo condotto nell’Ophel, l’area che si trova accanto al Muro Meridionale, quello che fa da angolo col Muro del Pianto. La prudenza è d’obbligo perché stiamo parlando dell’analisi di un reperto grande mezzo pollice (più o meno un centimetro) e in parte anche danneggiato. La stessa Eilat Mazar (è la nipote di Benjamin Mazar, l’archeologo israeliano che tra il 1948 e la fine degli anni Settanta condusse gli scavi più importanti a Gerusalemme) mette le mani avanti dicendo che per il momento la sua non può che essere un’ipotesi. Ma se dovesse rivelarsi fondata si tratterebbe di una scoperta eccezionale perché rappresenterebbe il primo 'contatto' fisico con uno dei più grandi profeti della Bibbia.

Il sigillo è affiorato in una zona accanto ai resti di un muro che risalirebbe all’epoca del re Salomone e che doveva essere ancora parte di un palazzo reale ai tempi del re Ezechia, il sovrano del regno di Giuda al tempo di Isaia. Proprio il riferimento a questo re tra i più importanti della storia di Israele è l’elemento fondamentale nella tesi sostenuta dall’archeologa: il sigillo attribuito a Isaia è stato ritrovato in un gruppo di reperti che si trovava ad appena tre metri da altri sigilli che portavano impresso il nome del re Ezechia. E dai racconti della Bibbia sappiamo che il profeta era una figura importante all’interno di quella corte. Erano anni gloriosi per Gerusalemme che nel 701 a.C. riuscì anche a resistere all’assedio degli assiri.

Nel sigillo attribuito al profeta Isaia compare l’immagine di un daino al pascolo, simbolo di benedizione e protezione. Nel reperto si scorgono le lettere ebraiche che vanno a formare il nome Yesha’yahu (in realtà manca la lettera finale, ma tutto fa pensare che si trovasse nel frammento che non è arrivato fino a noi). Meno certa, invece, è l’interpretazione della scritta che compare nella riga inferiore: Eilat Mazar presuppone che alle lettere nvy manchi una lettera aleph (’) andata perduta, che andrebbe così a completare la parola ebraica nvi’ che significa profeta. Lei stessa, però, riconosce che non è l’unica possibilità. Ad esempio potrebbe essere un altro nome per cui, anziché Isaia il profeta, diventerebbe Isaia figlio di Nvy. Oppure anche un toponimo e a a quel punto sarebbe Isaia di Nov. Ora, dunque, la discussione passa al mondo accademico, ma sembra destinata a portarsi dietro anche strascichi di natura politica. Perché l’Ophel è uno scavo sensibile: la destra nazionalista punta molto su quest’area per affermare che l’identità ebraica è l’unica veramente importante a Gerusalemme. E una figura come il profeta Isaia diverrebbe un testimonial straordinario in questo senso. Del resto compare già nel video in 3D che ai visitatori viene proposto al-l’Ir David, la Città di Davide che si trova a fianco dell’Ophel e si fonda proprio su altri scavi condotti da Eilat Mazar: quelli operati tra le case del quartiere di Silwan dove sostiene di aver ritrovato l’antico palazzo del re Davide. Un’attribuzione però contestata da altri archeologi israeliani, che l’accusano di aver forzato l’interpretazione per avallare il progetto di un grande parco archeologico che di fatto sta fortemente ebraicizzando una zona della Gerusalemme araba.

Nel video introduttivo dell’Ir David il profeta Isaia compare proprio nella Gerusalemme di Ezechia assediata dagli assiri, per veicolare al visitatore il messaggio che «ti trovi qui dove tutto è cominciato». Solo che poi quel video va avanti proiettando l’antica città strappata da Davide ai gebusei in un presente dove compaiono solo gli edifici della moderna Gerusalemme ebraica: il mulino, l’hotel King David, la Knesset... Ma sulla spianata non c’è né al Aqsa né la Cupola di Omar e nella Città Vecchia non c’è traccia nemmeno del Santo Sepolcro. Che risalga proprio al profeta Isaia oppure no quel sigillo lo stabilirà l’archeologia. Ma l’importante è che nello sguardo su Gerusalemme si ritrovi un giorno anche quello che i biblisti chiamano il terzo Isaia. L’ignoto profeta che scrivendo dopo l’esilio, molti anni dopo, al capitolo 56 del libro attribuito interamente al più illustre dei predecessori avrebbe predicato la «Gerusalemme casa di preghiera per tutti i popoli».