Agorà

L'ECONOMISTA SKYDELSKY. Contro Keynes e la pazzia del denaro

Silvia Guzzetti venerdì 30 novembre 2012
​La dottrina sociale cattolica come antidoto alla crisi economica e ai mali del capitalismo: parola di uno dei più famosi economisti della nostra epoca, Robert Skidelsky, già biografo di Keynes (al quale ha dedicato tre volumi che hanno ricevuto numerosi premi, tra cui il «Lionel Gelber» per le relazioni internazionali). L’emerito professore di Economia politica all’università di Warwick ha firmato, a quattro mani col figlio Edward, professore di filosofia all’università di Exeter, un’analisi spietata del capitalismo contemporaneo, cui può far da contraltare solo l’economia sociale, per controllare l’avidità insaziabile propria della natura umana. Il volume How much is enough? The love of money and the case for the good life («Quanto è abbastanza? L’amore dei soldi e perché è necessaria una vita buona») è stato pubblicato nel Regno Unito da Penguin Books.Professore, nel suo libro si sostiene che il capitalismo è diventato una corsa pazza per il denaro, senza freni morali.«Keynes pensava che il capitalismo, lasciato a se stesso, avrebbe garantito un livello di sicurezza economica per tutti perché, una volta raggiunto un certo livello di ricchezza, la gente non avrebbe voluto di più, avrebbe smesso di lavorare e si sarebbe dedicata ad attività di piacere. Non aveva calcolato che il nostro sistema garantisce un numero sempre maggiore di merci di migliore qualità e gli esseri umani le vogliono, perché questo è il modo in cui siamo costruiti come esseri umani. Così il patto faustiano stretto da Keynes col sistema economico nel quale viviamo si è trasformato in un Frankenstein, una corsa pazza dove i più ricchi lavorano moltissime ore per comprare cose delle quali non hanno bisogno e i più poveri sopravvivono a fatica».Voi sostenete che la dottrina sociale cattolica è una delle poche visioni morali che può aiutarci ad uscire da questa situazione. «L’unico antidoto a questo rincorrere cieco della ricchezza è una visione morale dell’uomo che gli dia dei limiti e gli insegni che conta una vita buona, in cui il denaro è importante soltanto se ci aiuta a vivere meglio. Questa visione morale in passato era garantita dalla religione; noi sosteniamo che la fede che sopravvive meglio, nella nostra epoca, è il cattolicesimo e per questo dedichiamo una parte del libro alle encicliche dei Papi, a partire da Leone XIII. La dottrina sociale cattolica è la critica non marxista più importante del capitalismo e del libero mercato perché rifiuta divari di ricchezza e sfruttamento, ma non la proprietà privata. Il pensiero sociale cattolico è molto importante in questo contesto perché attacca il marxismo ma anche il capitalismo. Inoltre è molto sospettoso nei confronti dello Stato. Crede in istituzioni che sono intermedie tra Stato e cittadino, delle quali la Chiesa è un esempio molto importante ma non l’unico. È molto interessante l’idea che la famiglia debba essere autosufficiente economicamente, non dipendente dal capitale. Quindi si chiede una più ampia ridistribuzione della proprietà piuttosto che la sua abolizione. Il protestantesimo, soprattutto nella sua versione americana, presentandosi come una religione di salvezza individuale ha promosso il mercato e ha perso l’aspetto sociale».Quando parlate di «vita buona», ovvero di quello di cui abbiamo bisogno per essere felici, fate un elenco che comprende salute, sicurezza, rispetto, personalità, armonia con la natura, amicizia e piacere e dite che i governi oggi sono molto lontani dal promuovere questi valori. Perché?«La liberalizzazione del mercato e le politiche reaganiane e thatcheriane hanno indebolito la sicurezza del posto di lavoro e la garanzia che, una volta raggiunta una certa età, si potesse contare sulla pensione. Keynes pensava che, mentre le nostre società diventavano sempre più ricche, più tempo sarebbe stato dedicato ad hobbies o attività ricreative o interessi. Di fatto questo non è successo. Al contrario è aumentata la pressione sulle persone a lavorare sempre più duro, anche se sono molto più ricche».Quando proponete la vostra ricetta per sconfiggere il capitalismo parlate di salario minimo, riduzione della pressione a consumare e controllo della pubblicità. Vedete modi nei quali queste idee vengono rese concrete?«Dipende dal Paese. Ci sono già controlli sui livelli della pubblicità; per esempio, nel Regno Unito, non si può fare pubblicità alle sigarette in tv. Qualsiasi cosa considerata dannosa nella nostra società viene limitata e noi pensiamo che si possa estendere questa idea di nocività ai consumi eccessivi. Una cosa molto dannosa, per esempio, è un eccesso di cibo che provoca obesità; bisognerebbe limitare la pubblicità di alcuni tipi di cibo oppure avvertire che sono pericolosi».Pensate che ci sia un rischio che la religione vada scomparendo nella nostra società?«Ci sono molte forze antireligiose nel mondo moderno. Prima di tutto l’<+corsivo>intellighentia<+tondo> è stata atea, agnostica o antireligiosa per la maggior parte del XX secolo, soprattutto in Gran Bretagna e Stati Uniti. Ci sono molto meno chiese nelle città; la civiltà urbana è inospitale nei confronti della religione. Ma nulla di tutto questo porta a un declino inevitabile della religione. Non si sa quale sarà il clima intellettuale tra cinquant’anni. Forse ci sarà un revival. Non occorre essere religiosi per apprezzare l’importanza della fede, perché ci fornisce uno dei pochi strumenti per controllare i nostri istinti peggiori. Né occorre essere cattolici per condividere la dottrina sociale della Chiesa, perché le sue premesse non sono specificamente cristiane ma derivano dal diritto naturale».