venerdì 25 giugno 2021
L'Aula delle udienze, nota anche come Aula Nervi dal nome del progettista, è un capolavoro che porta l'impronta di papa Montini, strumento pastorale e immagine simbolica di una Chiesa che sa osare
Un'udienza generale in Aula Paolo Vi

Un'udienza generale in Aula Paolo Vi - Claudio Pieri/Ansa

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Dodici milioni di persone. In pratica, come se vi fossero entrati tutti gli abitanti di Mosca, o Mumbai o San Paolo del Brasile. Dodici milioni come il numero di fedeli che dal 30 giugno 1971, giorno della sua inaugurazione si sono avvicendati nell’Aula oggi intitolata a Paolo VI che la commissionò all’architetto Pier Luigi Nervi. Cinquant’anni e cinque pontificati (oltre a Montini, Giovanni Paolo I, Giovanni Paolo II, Benedetto XVI e Francesco) hanno reso quell’edificio un punto di riferimento per i cristiani di tutto il mondo. Espressione di un dialogo fecondo tra fede e arte che era cominciato nel maggio del 1964, quando il Papa aveva fatto chiamare Nervi per invitarlo a costruire «un’opera non meschina o banale, ma cosciente della sua privilegiata collocazione e della sua ideale destinazione». È storia che quella richiesta fece tremare i polsi perfino a un grande dell’architettura contemporanea come il suo progettista. Troppo vicini la basilica di San Pietro e il Cupolone. Nervi chiese: «Posso osare?». Paolo VI rispose: «Osi. Bisogna saper osare al momento giusto».

L’episodio è riferito da padre Leonardo Sapienza, reggente della Prefettura della Casa Pontificia, nel libro dedicato al cinquantenario dell’Aula e intitolato appunto La Chiesa deve osare (Edizioni VivereIn, pagine 72, euro 12,00). Il volume sarà presentato il 28 giugno alle 17 all’Ambasciata d’Italia presso la Santa Sede con la partecipazione dell’autore, del direttore del Maxxi Architettura, Margherita Guccione, e della studiosa Maristella Casciato. Paolo VI, annota Sapienza citando Jean Guitton, «aveva una mentalità da architetto, il senso dello spazio e del tempo». E tuttavia «sapeva osare sempre con fiducia per l’avvenire della Chiesa, correggendo gli arbitrii dottrinali e disciplinari, che sorgevano soprattutto dopo il Concilio; ma anche incoraggiando e aprendo nuove strade per l’annuncio del Vangelo in un mondo in continua e veloce evoluzione».

L’impresa architettonica di mezzo secolo fa si iscrive proprio in questo scenario. E lo si evince dal discorso che Papa Montini tenne nel giorno dell’inaugurazione, spiegando di aver voluto la costruzione soprattutto per due motivi: «Liberare la Basilica di San Pietro dall’afflusso divenuto consueto della moltitudine eterogenea e vivace che affolla le nostre udienze generali, e offrire ai nostri visitatori un’aula d’accoglienza più adatta».

Il tempo ha dimostrato che l’intuizione era giusta. Quell’aula è diventata la casa in cui il Papa accoglie i figli nella fede provenienti da tutto il mondo. Un’idea familiare che caratterizzò anche quella prima udienza di 50 anni fa, per la quale Paolo VI non volle solenni momenti di inaugurazione, ma una semplice benedizione. Tuttavia non mancò di esprimere la sua «compiacenza» a Nervi e ricordò come lo avesse egli stesso invitato a osare, anche se «non è amore di potenza o di fasto» a ispirare il disegno del nuovo edificio. «Voi vedete – disse Montini – che nulla qui dice orgoglio monumentale, o vanità ornamentale; ma l’esigenza delle cose e ancor più delle idee, che qui si realizzano, reclama pensieri grandi e ispirati in sosta in questo luogo, e concezioni non meno grandi e ardite in chi doveva esprimere le dimensioni».

E a riprova di ciò il Papa aggiunse anche alcune considerazioni sulla spesa che si era dovuta sostenere. «Si è cercato di non farne soffrire – sottolineò – i nostri obblighi verso coloro che servono la Santa Sede e verso le persone e le opere, consacrate alla preservazione, alla propagazione della fede e allo sviluppo che cerchiamo di aiutare in ogni parte della terra e specialmente nel Terzo Mondo». Al punto che, parallelamente, il Papa volle finanziare quello che sarà poi chiamato “Villaggio Paolo VI” (cioè 99 appartamenti ad Acilia, per le famiglie dei baraccati dell’Acquedotto Felice e di altre periferie di Roma, inaugurati il 31 luglio 1973) e il 15 luglio 1971 istituì il Pontificio Consiglio “Cor Unum” destinato all’aiuto dei popoli più poveri.

In sostanza, Paolo VI vide nella nuova grande aula uno strumento per meglio adempiere il suo ministero di pastore universale. «Il Papa è servo dei servi di Dio. Il Papa è per tutti – notò quel giorno –. Possiamo far nostre, e applicarle al servizio a cui è destinata quest’Aula, le parole che san Paolo scriveva ai Romani: “Ho un vivo desiderio di vedervi per comunicarvi qualche dono spirituale perché ne siate fortificati, o meglio, per rinfrancarmi con voi e far voi mediante la fede che abbiamo in comune”». Così è stato in questi cinque decenni. E così continuerà ad essere.

Tra l’altro la lungimiranza di Montini e Nervi fu tale che nell’edificio vennero allocati anche altri ambienti, a cominciare dall’Aula del Sinodo, per riunioni di carattere religioso e culturale. Nel corso degli anni tutte le potenzialità pastorali e caritative dell’edificio sono state esplorate. Come ricorda padre Sapienza nel suo documentatissimo libro, l’aula è stata utilizzata per celebrazioni liturgiche, concistori, congressi, concerti, pranzi per i poveri, per la somministrazione del vaccino anti-Covid e da ultimo (come tra l’altro avviene proprio in questi giorni) come parco giochi in estate per i figli dei dipendenti vaticani (del resto l’area utilizzata per la costruzione dell’edificio era in larga parte occupata dall’Oratorio di San Pietro).

Il 28 settembre 1977 fu inaugurata la grande Risurrezione di Pericle Fazzini, posta scenograficamente a quinta del palco papale («ancor oggi più che mai Cristo è vivo, Cristo è reale », spiegò nel suo discorso il Papa). Il 22 dicembre 1978 Giovanni Paolo II annunciò l’intitolazione a Paolo VI dell’Aula e il 10 gennaio 1979, all’indomani della morte di Nervi, papa Wojtyla, nel ricordare l’architetto disse che le linee architettoniche dell’edificio «si impongono per eleganza e arditezza, per armonia e funzionalità». Oggi l’Aula Paolo VI è anche un polo ecologico. I 2.400 moduli fotovoltaici installati nel 2008 sul suo tetto consentono di coprire un quarto del fabbisogno energetico della stessa Aula e degli edifici limitrofi, evitando le emissioni di 225mila kg di anidride carbonica e risparmiando otto tonnellate di petrolio.

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