domenica 4 aprile 2010
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«Oggi, più che mai, il mondo ha bisogno di risorgere». Uto Ughi riflette sulla Pasqua. «Il mondo ha bisogno di risorgere dalla bassezza morale, dalle volgarità che riempiono quotidianamente le prime pagine dei giornali. Ha bisogno di risollevarsi dalla corruzione, dall’inganno, dall’egoismo che sembrano dettar legge». Il grande violinista è un fiume in piena. Si dice convinto che la musica può e deve aiutare l’uomo in questa rinascita, «perché la musica ha una fondamentale componente spirituale. Rende meno arida, meno egoista, meno violenta la società». Ughi parla alla vigilia dell’apertura del festival Omaggio all’Umbria-Assisi nel mondo di cui è consulente artistico nonché nome di punta del ricco cartellone. E invita a guardare al Sepolcro. «Occorre fermarsi perché sembra che oggi l’uomo abbia toccato livelli di bassezza mai raggiunti». Si fermi un attimo, maestro Ughi. Torniamo alla Pasqua. Perché ripartire da qui?«Per ritrovare la nostra dimensione di uomini. Guardando quello che accade intorno a noi sembra che si voglia abbassare il livello della società al gradino più basso della scala morale. La Pasqua per me, come per tutti i credenti, è il cuore della fede, la certezza che Cristo ci dà di una vita nuova. Ma penso che la Resurrezione interroghi anche i non credenti e suggerisca loro la necessità di una rigenerazione, di un cambiamento spirituale. Occorre tornare al grande insegnamento di Dostoevskij che sosteneva che "la bellezza salverà il mondo". Una bellezza non certo estetica, come i modelli di oggi vorrebbero, ma una bellezza prima di tutto morale. La musica può sicuramente aiutare un risveglio delle coscienze, perché un paese che scade moralmente inevitabilmente scade anche culturalmente».Avrebbe qualche pagina da suggerirci per iniziare questo percorso?«Sicuramente, visto il periodo dal quale arriviamo, la Quaresima, direi la Passione secondo Matteo di Bach, il più grande capolavoro della storia della musica. Una pagina che tocca tutte le corde più profonde dell’uomo».La «Passione secondo Matteo» racconta il dolore.«D’altra parte la sofferenza è una compagna inseparabile della vita dell’uomo, così come la gioia. Almeno per me che sperimento quotidianamente entrambi questi sentimenti. Il maggior dolore è la perdita di chi si ama e la gioia più grande è la possibilità di amare ed essere amati dalle persone che vogliamo aiutare».Cosa l’aiuta a sperare?«Vedere molte persone che si adoperano in modo disinteressato per gli altri. In ogni campo della vita. Posso parlare della musica dove vedo molti esempi positivi di gente che crede, come suggeriva Beethoven, che compito dell’arte è quello di creare la pace e alleviare le sofferenze dell’uomo».Detta così sembra che la musica sia un’isola felice. Ma anche i teatri lirici protestano per i tagli ai finanziamenti statali.«Nessuna isola felice. La situazione è difficile perché i teatri sono gestiti da persone nominate dalla politica, persone senza competenze specifiche che con i loro sperperi obbligano lo stato a tagliare i fondi».Un’accusa forte. Non ha mai pensato di entrare in politica per cambiare le cose?«La tentazione c’è. Ma per un musicista entrare in politica è sbagliato perché l’arte non è né di destra né di sinistra. È universale. Mettersi da una parte o dall’altra vorrebbe dire assoggettarsi a questi giochi. Meglio combattere da musicista».Lei ha ancora voglia di lottare?«Non l’ho mai persa. Anche spronato dai giovani. Girando il mondo incontro ragazzi di talento che, però, rischiano di non avere futuro, perché la musica, così come la cultura, è poco considerata. Occasioni come quella del festival Assisi nel mondo sono da sostenere perché offrono una vetrina a giovani musicisti».In tv hanno successo i cosiddetti talent show, "Amici" o "X-factor" per intenderci. Parteciperebbe a un programma simile per musicisti classici?«Perché no, qualsiasi mezzo utile alla diffusione della musica classica è ben accetto. Anche se il problema, per un cantante pop così come per un musicista classico, è sempre lo stesso, quello di trovare spazio, di avere un futuro. Manca un gusto, un’educazione nel pubblico. Per questo occorrerebbe ripartire prima di tutto dalla scuola, ripensare all’educazione musicale sin dalle prime classi delle elementari per preparare il terreno sul quale formare il pubblico di domani. Altrimenti i giovani musicisti, pop o classici, pur bravi, non avranno futuro».
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