Bieito: «Nel mio Rossini a Pesaro Zelmira è un'eroina attuale»
Il regista debutta al Rof con “Zelmira” che inaugura il 46° festival: «In un mondo in cui regna la doppia morale va in scena una donna che resiste, onesta e sincera». Anastasia Bartoli protagonist

Dissacrante. Provocatore. C’è chi bolla così il lavoro del regista Calixto Bieito. «Ma a me le etichette non interessano» racconta l’artista spagnolo, classe 1963, che domani inaugura il 46° Rossini opera festival di Pesaro con un nuovo allestimento di Zelmira. Titolo che mancava dal 2009. Giacomo Sagripanti sul podio dell’Orchestra (e coro) del Teatro Comunale di Bologna. Protagonista Anastasia Bartoli, con lei Enea Scala, Lawrence Brownlee e Marina Viotti. Zelmira primo dei tre (anzi quattro) titoli del cartellone 2025. Lunedì tocca a La cambiale di matrimonio (allestimento del 2020 di Laurence Dale che ci mette come prologo Soirèes musicales) diretta da Christopher Franklin con Jack Swanson, martedì una nuova Italiana in Algeri con la bacchetta di Dmitry Korchak (che di solito fa il tenore), Daniela Barcellona protagonista dell’allestimento tra drag queen di Rosetta Cucchi. Ogni sera diretta su Rai Radio3. E poi Il viaggio a Reims con i giovani dell’Accademia e la chiusura con la Messa per Rossini, nucleo dal quale Giuseppe Verdi, poi, sviluppò il suo Requiem. Due settimane nel segno di Rossini che si aprono con una Zelmira nell’arena. Pubblico sugli spalti dell’Auditorium Scavolini, scena centrale, nel mezzo l’orchestra, l’azione tutta intorno, anche sulle gradinate. «Sarà – promette Bieito, che debutta al Rossini opera festival – un’esperienza unica, aperta, fluida e profondamente rossiniana».
Calixto Bieito chi è per lei Gioachino Rossini?
«Faccio molta fatica ad attribuire aggettivi alle persone, tanto più se non le conosco personalmente. Se mi lascio trasportare dall’immaginazione, dalla sua musica e dalle letture su di lui, mi appare una personalità complessa, ricca di sfumature e contraddizioni, vitale e malinconica...».
Come racconta Zelmira? Una storia in cui c’è l’amore, ma ci sono soprattutto gli intrighi politici per il potere.
«Dal punto di vista di Zelmira. Una donna che resiste. Una persona in carne e ossa. Onesta e sincera. E ovviamente con molte facce, come appare nella musica. Una donna di ieri e di oggi. Autentica».
Qual è l’attualità di questa storia? In che modo ci riguarda?
«Ci riguarda come ci riguarda ogni storia di Shakespeare. Rossini crea un’opera oscura e universale. In un mondo governato dal tradimento, dalla violenza e dalla doppia morale, per una volta trionfano la virtù e la lealtà umana. La resistenza silenziosa, la fedeltà alla verità, il coraggio di una persona, in questo caso una donna, nel sostenere la propria integrità, la propria coscienza che nessuno vuole ascoltare. Credo che il messaggio di Rossini sia piuttosto eloquente».
Zelmira a Pesaro va in scena in un luogo insolito per l’opera, non in un teatro, ma in un palazzetto dello sport. Come utilizza questo luogo?
«Come uno spazio in cui il suono delle voci e degli strumenti vola ovunque e l’esperienza sonora e visiva è diversa per ciascuno di noi, a seconda di dove siamo seduti. L’orchestra, inserita al centro dello spazio, diventa una voce interiore. Il suono è parte della scenografia, non descrive, emana. Le voci e l’orchestra diventano memoria, paura, battito cardiaco».
Che cos’è per lei l’opera?
«L’opera, il teatro, l’arte in generale mi hanno accompagnato fin da bambino. Mi piace provare ogni giorno con la musica, fa parte del mio modo di essere, di vedere e sentire il battito della vita. Ed è bello pensare che tutto è possibile per un istante durante una prova. Uno spazio di libertà, generosità e assenza di paura».
Quando ha deciso che sarebbe diventato regista?
«Non è mai stata una decisione nel senso letterale del termine. Ho iniziato a canta-re a scuola e a recitare con i gesuiti. Poi tutto è scivolato verso questa passione. E ho avuto ottimi mentori».
A quale dei suoi spettacoli è più affezionato?
«Ce ne sono tanti. Mi sarebbe difficile sceglierne uno solo. Ho iniziato a dirigere grandi spettacoli a 23 anni, tanto tempo fa… quindi preferisco non pensarci troppo».
Qual è la sua estetica, unica o diversa a seconda del testo che affronta?
«Dipende sempre dall’opera che sto mettendo in scena. In Zelmira le emozioni restano sospese nel tempo e si ripetono all’infinito come in un sogno, come in un pensiero fugace, le voci e la musica orbitano nello spazio. Mi piace l’autenticità come quella che ho provato da bambino quando ho contemplato i bisonti nelle pitture rupestri delle grotte di Altamira. Quella notte non sono riuscito a dormire».
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