giovedì 17 dicembre 2020
Incontro con la storica voce di “Tutto il calcio minuto per minuto” che ha appena pubblicato la sua autobiografia: «Ho vissuto con dei campioni del mondo in redazione e in campo»
La voce storica Ezio Luzzi con il ct azzurro Enzo Bearzot ai Mondiali di Mexico ’86

La voce storica Ezio Luzzi con il ct azzurro Enzo Bearzot ai Mondiali di Mexico ’86 - Avvenire archivio

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«Zoff, Gentile, Cabrini...? No, la mia formazione mondiale è questa: Bortoluzzi, Ameri, Ciotti, Pasini, Provenzali, Viola, Ferretti e il sottoscritto, Ezio Luzzi». E quella è anche la «prima squadra» della più longeva e immarcescibile delle trasmissioni radiofoniche Tutto il calcio minuto per minuto. Programma stracult, nato nel 1960. «Ma non a dicembre, come scrivono, ma dopo le Olimpiadi di Roma. Prima si trattava di puri esperimenti, senza i Giochi quel genio di intuizioni che è stato Guglielmo Moretti, il “ct” della nostra squadra, non avrebbe mai avuto la possibilità di compiere quella rivoluzione». Linea aperta con Ezio Luzzi, classe 1933 – 87 anni compiuti il 10 dicembre – , la memoria storica di Radio Rai Sport.

Spinto alla professione «dal magnifico rettore Carlo Bo che all’Università di Urbino negli anni ’50 indisse il primo corso – all’epoca non riconosciuto – per giornalisti, al quale partecipai». Cresciuto con il mito di Nicolò Carosio che «caustico, come sempre, al mio debutto passò, per caso – disse lui, furbacchione – a controllare la radiocronaca virtuale che feci dell’aereo schiantatosi sugli spalti dello stadio Olimpico e disse: “Bravo Luzzi!”». Accompagnato, nella «lunga parabola di cronista sportivo errabondo e gitano da due “fratelli gentiluomini”, Paolo Valenti e Nando Martellini».


Incontro con la storica voce di “Tutto il calcio minuto per minuto” che ha appena pubblicato la sua autobiografia: «Ho vissuto con dei campioni del mondo in redazione e in campo. La radio è immortale, ma dobbiamo insegnare ai giovani a farla bene»

Con Valenti fece la sua prima Olimpiade, Roma ’60: «Non c’erano i monitor e Paolo chiedeva conferma a me, voce d’appoggio nel percorso urbano: “Ezio, ma è vero che Bikila sta correndo scalzo?”... Lo stile in telecronaca di Martellini, unito a quello di Ameri ho provato a riprodurlo alla radio. E forse ci sono riuscito...». Luzzi battitore libero tra le due voci dei padroni, Enrico Ameri e Sandro Ciotti. «Erano in competizione costante, ma si stimavano e si cercavano, specie alla sera per giocare a carte fino al mattino. Ameri era il rock, Ciotti il jazz». Ed io tra di voi, Luzzi, il “terzo comodo”. Narratore mondiale e olimpico all’occorrenza, spostato all’improvviso sui campi di Serie B che con lui “inviato speciale” divennero centrali anche per le memorabili e improvvise “interruzioni”: «Attenzione, sono Luzzi! A Cava dei Tirreni la Cavese è passata in vantaggio... ».

Quella “retrocessione” «decisa, genialmente – come sempre senza informarmi – da Guglielmo Moretti» fu l’inizio della promozione del personaggio nazionalpopolare “EzioLuzzi”. Protagonista assoluto, come le sue palpitanti radiocronache, del libro appena pubblicato Tutto il mio calcio minuto per minuto( Baldini +Castoldi. Pagine 294. Euro 18,00). «Non è un’autobiografia ma il racconto di chi ha vissuto. Perché le cose se non le vivi non le puoi sapere. E tante cose la gente d’oggi mica le sa». Neppure chi è vissuto a Radio Rai ricorda la “Leschiera”, ma Luzzi sì. «Era un amazzone la Leschiera, la nostra “capa” ombra, un ingegnere che aveva ricostruito la Rai dalle macerie della guerra da cui aveva ereditato un Harley Davidson – dai soldati americani – in sella alla quale si spostava da una parte all’altra del-l’Italia», dice Luzzi con quell’accento ternano («la città dove sono cresciuto») di figlio di italiani di ritorno dall’Argentina.

«Sono nato a Santa Fe, e infatti a Maradona fin dalla prima volta che lo vidi lo chiamavo “paisà”... Poi un giorno, mentre volavamo assieme in aereo, mi affronta a muso duro: “Perché mi pigli in giro”? Gli rispondo che sono argentino e gli mostro il passaporto: vedi Diego, nato a Santa Fe. Da quel momento amici e pass privilegiato per le interviste. Il sottoscritto mesi prima che Maradona arrivasse in Serie A aveva fatto lo scoop. In un albergo a New York mi confessò: “Paisà, guarda che presto verrò a giocare con il Napoli”... Feci un figurone con quell’anteprima. Povero Maradona, l’ha fregato la troppa generosità, come a quell’altro grande amico mio laziale, Giorgio Chinaglia. Il nomignolo “Long John” glie lo misi io: beveva una bot- tiglia di Johnnie Walker al giorno». Luzzi l’amico degli irregolari e scalatore puntuale di cabine negli stadi. «La mia prima radiocronaca per Tutto il calciofu un derby di fuoco, Pisa-Livorno. La postazione stava appesa a un palo in cima alla tribuna dell’Arena Garibaldi e per arrivarci bisognava essere degli alpinisti. Alla fine della partita il nostro tecnico, Minestrino, non voleva scendere per paura: “Ezio vai avanti... guarda che c’è laggiù!”. Ad aspettarci c’erano i tifosi pisani inferociti per il mio commento appena ascoltato alla radio».

Rischi e avventure di «chi ha avuto la fortuna di essere sempre al posto giusto al momento giusto». Come la diretta della «sciagura di Licata che poteva diventare una “piccola Heysel”. Dei ragazzi stavano assiepati sul tetto di una casa in costruzione per assistere gratis alla partita con il Torino (stagione di B 1989-’90). Al gol del pareggio della squadra siciliana mi volto e non li vedo più... Allora chiedo a un vigile urbano vicino alla postazione di andare a controllare. Risultato finale? Nel crollo un ragazzo morto (Franco Airò, 24enne di Ribera) e 14 feriti». E la vittima alle Olimpiadi di Atlanta poteva essere lui, l’avventuroso radiocronista italiano che invece passò alla storia. «Altri due passi e sarei esploso quel 27 giugno 1996, giorno dell’attentato al Centennial Olympic Park. Scampato alla bomba mi rialzai e feci una diretta di 24 ore filate, dando il “buco” persino alla Cnn». Un doppio miracolo per cui ringraziare sempre il suo “Protettore”. «Sono devoto a San Giovanni di Dio “incontrato” nella Chiesa di Nostra Signora di Coromoto a Roma – si ferma e sorride divertito – Il parroco don Giampiero è un tifoso della Salernitana, un altro che da ragazzo all’Arechi mi aveva aspettato nel dopo partita per contestarmi».

Ma sono stati più gli amici incontrati nel suo lungo cammino. A cominciare dai colleghi morti di domenica, allo stadio: «L’anima di Bologna Piero Pasini e il grande Beppe Viola, artista prestato alla radiocronaca sportiva», fino ai «sette ct» compreso Arrigo Sacchi, che scrive la prefazione al suo libro (la postfazione è di Emanuele Dotto). «Il presidente più caro? Costantino Rozzi, unico. Alla domenica bucava le gomme delle macchine che parcheggiavano davanti a casa sua vicina allo stadio. Odiava il calcio, poi un giorno incuriosito dai fischi dei tifosi entrò e vide quel ragazzotto pelato che correva per 11, era Carletto Mazzone. Si comprò la squadra e la portò in Serie A. Straordinario, come Domenico Luzzara patron della Cremonese. Una domenica allo Zini in cabina entrò Ugo Tognazzi, che considerava il Milan la moglie e la Cremonese l’amante, per stare al caldo con me che intanto mi impappinavo in diretta. Avevano rifatto la postazione e messo tutti specchi alle pareti, così con il riflesso andai in confusione, le azioni di destra le vedevo a sinistra. La Cremonese pareggia e invece annuncio: “Attenzione! Raddoppio degli ospiti”. Da fuori i colleghi mi urlano: “Ezio ma che combini?”».

A combinargliela grossa furono gli azzurri a Spagna ’82, l’Italia Mundial di Pablito Rossi e del “Vecio” Enzo Bearzot. «Ho pianto per la fine improvvisa di Paolo Rossi, un ragazzo splendido che ho seguito fin dai primi passi al Lanerossi Vicenza. Bearzot è l’allenatore più umano e più colto che abbia mai conosciuto. Così come Gentile e Tardelli sono due campioni del mondo anche di “guasconate”. Quella volta al Sarriá mi convocano a centrocampo fingendo di voler interrompere il silenzio stampa, solo per me... Io vado con il mio registratore e questi per cinque minuti fingono di rispondere muovendo appena le labbra, e poi scoppiano a ridere. Me ne torno sconsolato in tribuna con i colleghi che per colpa loro mi danno del “compare” di Bearzot, del “traditore”...». Sorride scanzonato Luzzi, come ogni attore della commedia dell’arte finito nel pallone.

Di questo talento satirico se ne era accorto Claudio Ferretti, «amico e grande collega» che lo lanciò in tv a Telesogni prima di chiudere da mattatore alla radio nella trasmissione Ho perso il trend, condotta in tandem con il cantautore del Folk Studio Ernesto Bassignano. «L’allora direttore di Radio Rai 1 Paolo Ruffini mi sbatte in studio e vedo uno che suona la chitarra e legge poesie... Ero in perfetto fuorigioco. Poi con Bassignano siamo diventati una coppia fortissima quanto Fiorello e Baldini: Bax il “barbone comunista” e Lux “l’intrepido berlusconiano”. Grande satira con share da 600mila ascoltatori a puntata... ma ci hanno chiusi dalla sera alla mattina per un banale contrattino da rinnovare a Bassignano che nel frattempo era andato in pensione». Non ha mai abbandonato il microfono invece Luzzi, oggi trasmette dalla sua emitttente “ElleRadio” (Fm 88.100): «Ma siamo boicottati. Così come non hanno creduto nel progetto di formazione “High School Radio”. Era un’opportunità per i tanti liceali che si iscrivevano da tutta Italia. La radio è immortale, ma bisogna insegnarla ai giovani perché imparino a farla bene e non rovinarla... come stanno facendo con tutto il resto del mondo in cui viviamo».

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