venerdì 30 marzo 2018
L'artista medita sull'esperienza del Calvario: «Il Venerdì Santo è la grande festa della pedagogia del corpo, nostro vero e unico tesoro. Voragine meravigliosa che apre all’eternità senza rivelarla»
Raul Gabriel, "Depo Black #4" (2017), particolare

Raul Gabriel, "Depo Black #4" (2017), particolare

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La rivelazione porta conflitto. Nel suo legame con la realtà quotidiana, con la vita comune, gli eventi tangibili. Eppure la rivelazione, se è davvero tale, è ossatura stessa di tutto il reale, motivazione prima e suo obiettivo.

Confinare nei limiti dell’accettabile la rivelazione è una contraddizione. Ma accettarne il devastante potenziale di destabilizzazione del nostro consueto appare disumano.

Un solo luogo, per sua mirabile natura, supera tutto questo con la sua stessa essenza: il corpo. Il nostro corpo, che ci è dato e per cui possiamo esistere, è strutturalmente indifferente a qualunque idea di accettabilità. È fatto per sconvolgerla costantemente. Il nostro corpo è l’azione concreta della rivelazione. Vive di imprendibilità, inquietudine, meraviglioso mistero e fugaci esplosioni. Proviamo ad addomesticarlo, confinarlo, renderlo gestibile, perfino a evitarlo. Eppure siamo noi quel corpo. La corporeità è multiforme, è come un albero con molti rami. Ma comunque si mostri, è sempre carne. Il gesto è forma del corpo. Il pensiero è forma del corpo.

Oggi è Venerdi Santo, un giorno strano. Per molti giorno di lutto, di tristezza, di resa. Nel migliore dei casi giorno di meditazione sulla catarsi della fine, del nero senza luce. Non è così. È il giorno dell’inizio e festa di un nero che permette alla luce di risplendere nei suoi anfratti più intimi e preziosi. Per chi crede, ma anche per chi considera il cristianesimo una delle tante rivelazioni all’uomo, è celebrazione della più grande benedizione. Celebrazione di vita. La sofferenza, la morte, che non sceglieremmo mai, sono le sole che ci obbligano a gettare le zavorre della accettabilità, che cullano così dolcemente e mortalmente la nostra coscienza quasi sempre sopita.

Il Venerdì Santo è la massima festa della pedagogia del corpo, nostro vero e unico tesoro. Nell’attraversamento del buio luminoso del dolore, dell’abbandono della morte, il corpo ci permette di sperimentare la voragine meravigliosa che apre all’eternità senza rivelarla, in una sofferenza vibrante che ci fa sentire vivi e apre alla visione cristallina.

Il corpo non rimanda metafore, il corpo attraversa e viene attraversato dalla scossa del divenire. E attraverso le sue fibre ingestibili ci permette di toccare, sperimentare e interiorizzare quel cumulo di passaggi terrificanti e meravigliosi che sono lo sguardo all’eternità proprio nel momento in cui questa sembra negata. Le fibre che si scuotono, la lotta che si abbandona, il tormento del perdersi nel dolore verso il non senso, hanno la proprietà di renderci lucidi. Di quella lucidità che è cifra del corpo e della rivelazione, non della razionalità misurata che è tanto di conforto ma che nulla può di fronte alle forze che ci generano e ci attraversano.

Il Venerdi è il canto della vita, vibrante e potente. Incidendo fino ai nervi ci riconduce al contatto con la carne della nostra esistenza, che va offerta con decisione e fiducia agli scuotimenti del suo destino rivelando la forza definitiva e totale di un corpo che quando sembra morire in realtà si trasforma. Il Venerdi di Pasqua, come quello quotidiano di ognuno, grazie al corpo, è già vittoria, è già consolazione, è già gioia, è già eternità.

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