giovedì 15 luglio 2021
La pagina Facebook del Museo di Ravenna oscurata è solo l’ultimo caso di una lunga serie: gli algoritmi sono incapaci di intendere l’uomo
L'algoritmo di Facebook incapace di comprendere l'uomo

Solinas

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È di questi giorni una notizia che non è certo la prima del suo genere, offre spunti di riflessione interessanti, ma non sul tema di cosa è arte o pornografia, il livello di lettura più gettonato e vendibile che mi sembra secondario. La pagina del Museo d’Arte della città di Ravenna (Mar) è stata oscurata per quasi un mese da Facebook, il cui algoritmo ha decretato che una immagine del fotografo Paolo Roversi era censurabile perché non rispettava i dettami del social sul nudo. La mia considerazione non riguarda il discrimine che dividerebbe secondo alcuni, e certo secondo l’algoritmo, arte e pornografia in modo netto, diatriba inutile che lascio volentieri a chi ama tessere geremiadi contro un preteso clima censorio senza precedenti o sul mala tempora currunt del momento. L’oscuramento in questione sottende un tema molto più focale che include anche le distinzioni posticce come corollario del suo ventaglio di conseguenze nefaste. Più volte ho presentato e sostenuto argomentazioni per cui la AI non potrà mai sostituire il cervello umano nella sua essenza e nelle sue peculiarità più specifiche. La notizia che riguarda Facebook e il Mar offre una occasione ulteriore che ritengo difficilmente contestabile, anche da chi si ritiene vestale profetica dell’avvento di un incontrastato dominio delle macchine prossimo venturo. L’algoritmo onniscente e onnipresente, in realtà generatore di un enorme catalogo di dati di cui non ha alcuna coscienza, non potrà mai individuare una componente fondamentale che caratterizza tutto l’agire umano e i suoi processi cognitivi: l’intenzione. L’intenzione sfugge completamente alla AI perché non è parametrabile, nascosta come è nelle pieghe del dato sensibile, a volte nascosta anche a chi la esercita in modo più o meno cosciente. Anche progettando una AI capace di individuare le percentuali statistiche di un quadro di intenzioni pregresse che permetta di fare previsioni sui moventi della produzione di gesti, opere e pensieri umani, questo non potrà mai sfuggire ai metodi della statistica e della probabilità che non sono mai mai predittivi in termini assoluti. Non identificano l’atto che analizzano, ma le meccaniche del suo succedere che appartengono alla cornice e non al core del problema.

Anche ipotizzando una predizione delle intenzioni accettabile la AI manterrebbe una cesura insanabile dai processi che regolano il loro formarsi e palesarsi. Per ricondurre l’argomento al fatto che riguarda la foto esposta al Mar pensiamo ad una qualsiasi rappresentazione del nudo. Questa, nella maggioranza dei casi, non è in grado di definire veramente il proprio ambito, se pornografico o meno, posto che tra i due vi sia necessariamente una divisione manichea. Chi conosce Mapplethorpe e le sue fotografie profondamente classiche e così potenti e rigorose dal punto di vista formale da far dimenticare un ambito decisamente estremo rispetto alla sessualità che le caratterizzano, sa di cosa parlo. Ciò che definisce l’ambito è proprio l’intenzione dell’artista, che certo viene fuori anche dall’opera, ma in un modo che non è oggettivabile nel dato algoritmico, tanto meno parametrabile secondo il sistema binario o qualunque altra configurazione numerica, su cui la AI fonda la sua stessa esistenza. Di fronte all’intenzione, come di fronte alla coscienza (del reale), come di fronte alla elasticità della corteccia, come di fronte al senso critico, la AI rimarrà per sempre ontologicamente, profondamente stupida. Se le si affida ogni cosa vuol dire che si va per un mondo ottuso da ottundere sempre più un mondo le cui leve riducono drasticamente i termini della complessità in favore del controllo, un mondo che scambia solo informazioni basiche e parametrabili, un mondo di servitù culturale assoluta. In fondo, se guardiamo i social di tutti i giorni, la piattezza che li caratterizza e accomuna qualunque ceto, intellettuale o meno, in uno sconcertante frappè indistinto
e omogeneo, questo mondo stupido è già molto presente, già profondamente privato di ogni intenzione che non sia quella elementare e involuta di una gratificazione tanto immediata quanto insignificante e vana. Quella che legittima l’algoritmo a decretare cosa è bene e cosa no.

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