sabato 30 marzo 2019
L’incontro a 27 anni con il poeta le aprì la mente: «Strappa da te la vanità». Poi gli scatti a Pasolini. Così la fotografia diventa «una scelta di vita». A Venezia 300 scatti in mostra
La fotografa siciliana all'inaugurazione della mostra alla Casa dei Tre Oci di Venezia

La fotografa siciliana all'inaugurazione della mostra alla Casa dei Tre Oci di Venezia

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«Avevo 27 anni, ero a Venezia. E un amico, un poeta siciliano, Emilio Isgrò, ora famoso, mi disse: “Sto andando a trovare un vecchio poeta, Ezra Pound. Vieni con me?”. Non sapevo chi fosse. Entrammo in una stanza a piano terra. E c’era un signore vecchio con la barba, in un angolo. C’era anche la moglie. Tutti e due con le ciabattine di pezza. Non sapendo niente della sua poesia, lo guardai. Ero tutta truccata, avevo il mascara, la matita. Cominciai a piangere. Non ci siamo detti neanche una parola. Io piangevo e lui mi guardava. Non parlava più con nessuno, era offeso con il mondo. Però il suo sguardo era profondo. Mi capiva. Poi andammo via e con Emilio ci nascondemmo in una calle. Uscirono, tutti e due. Mi ricordo loro di spalle, lui più alto, lei piccola, sempre con le scarpe di pezza. Dopo quell’incontro il canto 81 dei Canti Pisani è diventato la mia vita: “Strappa da te la vanità. Ti dico strappala”». Letizia Battaglia non era una fotografa. Lo diventerà ben più avanti. Di quell’incontro non ci sono immagini. Ma è questo scatto che non esiste a dare il senso del lavoro fotografico di Letizia Battaglia. «Io sono una persona, non sono una fotografa. Una persona che fotografa, che ha fatto volontariato psichiatrico, che ha fatto teatro, che ha avuto l’amore, che l’ha dato, che ha avuto tre figli. La fotografia è una parte di me, ma non è la parte assoluta, anche se mi prende tantissimo tempo». La visione di Ezra Pound fu come una scintilla. E quando, dopo anni, la Battaglia troverà nella macchina fotografica lo «strumento di realizzazione di sé», quei versi saranno l’anima del suo obiettivo. Che ha fissato nella pellicola persone, storie, luoghi, fatti. Ha fotografato la mafia, ma anche la sua liberazione. Battaglia e Letizia.

Come se un cerchio in qualche modo si chiudesse è oggi proprio Venezia a celebrare la straordinaria «persona che fotografa » di 84 anni, arrivata in Laguna con i capelli rosa, le sue inseparabili sigarette e la macchina fotografica appesa al collo. Alla Casa dei Tre Oci scorre la sua vita a scatti nella mostra a cura di Francesca Alfano Miglietti, promossa da Fondazione Venezia e prodotta da Civita Tre Venezie: “Letizia Battaglia. Fotografia come scelta di vita”. Aperta fino al 18 agosto, l’esposizione si compone di una carrellata di 300 immagini, per lo più inedite, soprattutto nelle sequenze anche di scatti celebri, in un allestimento che le pone una a fianco all’altra come un lungo rullino che si sviluppa per le sale dello splendido palazzo alla Giudecca, da anni ormai un riferimento nazionale e non solo della fotografia, sotto la direzione artistica di Denis Curti. Sulla facciata campeggia lo scatto di un bambino che gioca a fare il killer, a Palermo. Può sembrare una stonatura qui, nella Venezia di Ezra Pound. Ma non è così. Come non è un caso che sia Venezia a dedicare a Letizia Battaglia una grande mostra. «È una città che ho amato tanto – confessa –. Abitavo a Mestre, in un periodo difficile della mia vita. Qui ho amato una persona. Qui venivo in inverno a passeggiare. Qui ho ricevuto doni. Venezia mi ha riempito la vita. Mi fa venire voglia di fotografare ancora».

E continua a fotografare, instancabile, Letizia Battaglia. «Con letizia e battaglia», come ha evidenziato la curatrice in occasione dell’inaugurazione, il 19 marzo, e nel testo pubblicato sul pregevole catalogo edito da Marsilio (pagine 288, euro 50,00): «Letizia = gioia, felicità, allegria, giubilo; Battaglia = combattimento, scontro, conflitto, lotta. Le due parole che compongono il suo nome – dice Alfano Miglietti – sono esattamente la sintesi del suo approccio alla vita, della sua capacità di partecipare alle vicende del mondo e della sua relazione con gli esseri umani. Letizia è un’attivista e una fotografa che non ha mai cercato la “bella” immagine, ma ogni sua immagine è pervasa da un irrinunciabile rispetto per la verità». In mostra ci sono spaccati di società in cui «basta poco per essere felici», la gente per strada, la semplicità delle case in cui entra, i bambini che giocano, ma c’è anche la violenza della criminalità organizzata come la drammatica sequenza dell’omicidio di Piersanti Mattarella, nel 1980 a Palermo. C’è per dire «basta»: «Basta parlare di mafia. Non ne posso più. Parliamo di bellezza, di futuro». Di poesia. Come quella delle foto dei nudi, raffinati e disinvolti, di persone amiche, a testimonianza di una bellezza senza tempo. Di quello che siamo. Tutti. Nella nostra nudità di essere umani. «In questo archivio si può sentire la voce dei poeti, sì – evidenzia Maria Chiara Di Trapani che si è occupata del prezioso lavoro di ricerca, scavando nell’archivio della Battaglia, insieme alla nipote Marta Sollima, per lunghi mesi –. Così nel 2010 è arrivato meditabondo in un denso bianco e nero Pier Paolo Pasolini. Se ne stava seduto e assorto in un provino nascosto tra le carte private. Unica indicazione sul provino n. 5547 in una scritta in rosso “Pasolini al Turati”. Siamo a Milano nel 1972, Ppp è colto con un’aria grave durante un convegno milanese. Quanta bellezza nell’amato, atteso e sempre evocato poeta. Quanta bellezza emerge dal rimosso». Di fronte a quel “ritrovamento” la risposta di Letizia – ricorda Di Trapani – fu: «Ma non ero una fotografa in quel momento». Il racconto di quegli scatti, da “non fotografa”, è una perla di emozioni: «Pasolini fu una luce, un mito, lo andai a cercare con la mia macchina fotografica – racconta Letizia Battaglia –. Ancora non ero e non sapevo che sarei diventata una fotografa, ma scattavo. Lui era quello che io volevo: la vita sincera, pulita, drammatica e coraggiosa. In sala mi vergognavo, la mia macchina faceva troppo rumore, ma gli feci questi scatti con tanto amore e rispetto. Non ho parlato con lui, non l’ho incontrato, non lo meritavo. Lui era Pasolini. “Lo fotografo e me lo porto a casa”, ho pensato. Così anche quando sono tornata a Palermo è stato per me un riferimento per il suo amore della libertà di pensiero, il coraggio di esprimere se stessi e il distacco dal potere».

Dall’archivio spuntano altre sequenze letterarie che ora impreziosiscono la mostra: ed ecco il poeta Edoardo Sanguineti muoversi durante una pausa del convegno sul “Senso della letteratura” al Grand Hotel et Des Palmes di Palermo; scorrono i visi di Elvira Sellerio; e poi Franca Rame, Lawrence Ferlinghetti, Renato Guttuso nel suo studio, Maria Lai, la fotografa Donna Ferrato, la poetessa Wislawa Szymborska durante una lezione all’università: «Ogni inizio infatti/ è solo un seguito /e il libro degli eventi /è sempre aperto a metà». Foto come poesie. Di Letizia. E di Battaglia. Nel segno di Pound.

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