lunedì 11 marzo 2024
Il vincitore della statuetta come migliore film internazionale ha un seguito non raccontato che riguarda l’“Animale” di Auschwitz-Birkenau e un gesuita polacco
Una scena tratta dal film "La zona d'interesse"

Una scena tratta dal film "La zona d'interesse" - Wikipedia

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Forse non basta la visione del film "La zona di interesse" di Jonathan Glazer, appena premiato con l’Oscar come miglior film straniero, per comprendere a pieno la vera portata della banalità male concentrata su un uomo, il “Comandante di Auschwitz” Rudolf Höss. E c’è una storia nella storia, che neanche il romanzo omonimo di Martin Amis, da cui è stato tratto il film, svela, ed è quella della possibile redenzione, avvenuta in punta di morte, del boia nazista.

Nella tranquilla e armoniosa casa Höss, la villetta stile mulino bianco confinante con il campo degli orrori di Auschwtiz-Birkenau, nessuno, tranne il capostipite Rudolf, all’inizio del suo incarico triennale di responsabile del lager poteva immaginare che quello sarebbe diventato il peggior girone dell’inferno. Forse neanche lo stesso Höss quando fu spedito lì, dalle alte gerarchie naziste - a cui non apparteneva - poteva comprendere la portata di quella “soluzione finale”, poi sfociata nel genocidio degli ebrei che lo vide tra i carnefici dei 6 milioni di morti.

La consapevolezza in lui crebbe di giorno in giorno, fino a diventare l’“Animale” di Auschwitz-Birkenau agli occhi di quei prigionieri che a loro volta erano diventati “cose” agli occhi dei loro giustizieri. Nel film premio Oscar d (miglior film straniero) "La zona di interesse" Jonathan Glazer, questo aspetto di inconsapevolezza e di “ingenuità” si rintraccia solo negli altri membri della famiglia di Rudolf: la moglie Hedwig e i loro cinque figli, i quali vissero al riparo, inconsapevoli dell’orrida banalità del male e di quel buio mortale oltre la siepe di casa Höss.

La zona confinante era un cimitero di due milioni e mezzo di cadaveri, in gran parte sterminati dalle torture, gli esperimenti scientifici condotti fino alla “trovata” ferale del Zyklon B, probabilmente ideato dallo stesso Höss, che con quel gas riuscì a rendere più rapide le esecuzioni di massa. Un ebreo su sei venne giustiziato per ordine del boia nazista (400mila erano ebrei ungheresi). E tra le sue vittime risulta un’intera comunità di gesuiti polacchi. Ma tra quei “sommersi”, misteriosamente ci fu un “salvato”. Nel campo in cui trovarono la morte anche la suora cattolica Teresa della Croce, Edith Stein, e il padre francescano Maximilian Kolbe, anche padre Wladislaw Lohn, era pronto a seguire il loro esempio e farsi martire del genocidio nazifascista. Al momento in cui i suoi confratelli vennero rastrellati e condotti alla camera a gas lui era assente.

Ma la sua salvezza non poteva lenire il dolore di quelle vittime innocenti, appartenenti come lui alla Compagnia di Gesù. Pertanto il senso di colpa del sopravvissuto e il dolore della fine toccata ai suoi confratelli lo portò ad “autodenunciarsi” come scampato. Un gesto che agli occhi del boia Höss parve probabilmente eroico e quindi andava premiato, esclusivamente, per il coraggio dimostrato. Höss ordinò di risparmiare la vita a padre Lohn e quello fu l’unico atto di umanità del nazista che per tutti i crimini compiuti contro l’umanità alla fine della guerra verrà condannato alla pena capitale. Prima dell’esecuzione, avvenuta il 16 aprile del 1947, Hoss era stato imprigionato a Wadowice.

La città natale del futuro papa Wojtyla, poi san Giovanni Paolo II, ospitò gli ultimi giorni dell’Animale di Auschwitz-Birkenau che nella sua cella si trovò a fare i conti con la sua coscienza. Quella del battezzato cattolico che, come ultimo desiderio, chiese di potersi confessare. E come confessore voleva soltanto un uomo, colui che gli ricordava di essere stato “umano” e un degno cattolico nei suoi 47 anni di vita: padre Wladyslaw Lohn. Segno divino, il gesuita era il cappellano del convento delle suore della Misericordia di Wadowice e alla chiamata del condannato a morte non esitò a presentarsi. Un altro film, ora Glazer potrebbe girarlo sulle ultime ore di Höss, quelle in cui si pentì di tutti i mali commessi e chiese il perdono all’unico uomo sul quale non aveva sprigionato la follia omicida nazista. “Una confessione lunga e drammatica”, hanno raccontato i pochi testimoni di quell’incontro, che si concluse con il “te absolvo” di padre Lohn. E i peccati da assolvere ad Höss erano tanti, troppi, a cominciare da quelle due milioni e mezzo di croci piantate per sempre nel campo santo che è la nostra memoria.

All’indomani della confessione, prima di finire impiccato, Höss ricevette la comunione dalle mani di padre Wladyslaw: prese l’ostia tra le lacrime, rimanendo in ginocchio davanti a quel gesuita, in cui, forse, la sua coscienza vide passargli davanti tutti i volti di uomini, donne e bambini, che ingiustamente aveva strappato alla vita.

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