
Il musicista e compositore francese Jean-Michel Jarre - -
Pioniere, esploratore, innovatore, visionario. Si tenta sempre di definirlo, Jean-Michel Jarre, ma lui continua a sorprendere, scarta di lato, sfugge alle etichette che gli vanno inevitabilmente strette, alzando ogni volta l’asticella dei suoi traguardi. Certo, lo si può chiamare l’“artista dei record”: oltre 85 milioni di dischi venduti (di cui 12 solo con l’album Oxygene), primo musicista occidentale a esibirsi nella Repubblica Popolare Cinese, protagonista di concerti-evento in luoghi iconici come le Piramidi d’Egitto, il deserto del Sahara o la sede dell’Onu, senza dimenticare la sua esibizione virtuale per il Capodanno 2021, ambientata in una spettacolare Notre-Dame in versione VR, che ha superato i 75 milioni di spettatori. Nei prossimi mesi si appresta a “colonizzare” l’Italia con una serie di eventi che comprendono mostre visive e installazioni – il 10 maggio alla Biennale Architettura di Venezia si inaugura il progetto intitolato Oxiville (realizzato con il coordinamento artistico di Maria Grazia Mattei e di MEET Digital Culture Center) – ma anche concerti dal vivo (a luglio a Venezia e Pompei), mixando musica elettronica, visual effects e intelligenza artificiale. D’altronde, quando il fenomeno Jarre è esploso nel pieno degli anni Settanta, si viveva in un’epoca ancora profondamente analogica, ma la sua musica guardava già al futuro evocando un immaginario fortemente digitale…
Da dove nasce questa sua impronta visionaria?
«Credo di aver percepito la musica in modo visivo fin dagli inizi. Durante gli studi ho frequentato pittori, architetti, scenografi e l’aspetto visivo è stato da subito parte integrante della mia ispirazione. Ho sempre immaginato che la mia musica potesse essere la colonna sonora di un film che si svolge nella mente dell’ascoltatore; è stato naturale quindi mettere in scena la musica fin dall’inizio, trasformare i concerti in esperienze visive».
Quando ha cominciato a interessarsi al mondo dell’innovazione tecnologica?
«Sin dagli esordi sono stato attratto da tutto ciò che mi potesse offrire modi alternativi di fare spettacolo. Quando ho iniziato, ero da solo a esplorare questo linguaggio e non immaginavo che con il tempo sarebbe diventato lo standard di ogni show: oggi tutti – dal pop al rock, dall’elettronica alla techno – utilizzano luci, laser, ledwall scenografici. Quella che per me era sperimentazione è diventata il linguaggio comune di qualsiasi concerto».
Verso quali orizzonti si sta muovendo ora?
«Con il tempo ho esplorato anche la realtà virtuale, la realtà aumentata e oggi l’intelligenza artificiale. La tecnologia crea inevitabilmente nuovi stili, genera un linguaggio, un’estetica; l’AI per me non rappresenta una minaccia, ma una nuova tavolozza creativa. Più che di “Artificial Intelligence” preferisco infatti parlare di “Augmented Imagination”, perché amplia la mia capacità di immaginare e creare; è un’estensione della mia ispirazione».
Nei prossimi mesi sarà presente in Italia con una serie di appuntamenti tra mostre, installazioni e concerti dal vivo: c’è chi li definisce tappe diverse di un’“opera totale”…
«Oggi viviamo immersi in una sorta di “opera totale”, circondati dalla tecnologia e bombardati da informazioni di ogni tipo. Credo che, per un artista, l’obiettivo sia proprio quello di condividere questa idea di immersione. Qualunque sia il mezzo – si tratti di scrittura, musica, arti visive – l’essenza è sempre la stessa: immergere il pubblico».
Esiste un minimo comun denominatore?
«Direi che il MEET Digital Culture Center di Milano incarna perfettamente questa idea di “immersione”: è una realtà che propone al pubblico un’esperienza che attraversa tutte le forme di espressione artistica, legate al tema della tecnologia e accomunate da una visione a 360 gradi dell’arte e del futuro. Per me il MEET è un’antenna e come tale trasmette idee nuove, ma allo stesso tempo attrae talenti e visioni da tutto il mondo: è un luogo dove l’innovazione è viva e si nutre di uno scambio continuo».
Come si articolerà il progetto che presenterà il 10 maggio alla Mostra Internazionale di Architettura della Biennale di Venezia?
«Oxiville rappresenta una modalità per collegare architettura, suono e musica. In una stanza completamente vuota, senza nulla da vedere, il pubblico sarà invitato a chiudere gli occhi e ascoltare per 10 minuti una composizione basata su uno dei miei ultimi album, Oxymore. Sarà un’esperienza audio immersiva a 360°, pensata per stimolare l’immaginazione attraverso il solo suono: un viaggio in una città immaginaria. Alla fine, attraverso un QR code, si potrà lasciare un commento, che diventerà un prompt destinato a trasformarsi in seguito in immagini grazie all’intelligenza artificiale; alla fine della Biennale, a novembre, raccoglieremo e mostreremo le visualizzazioni di queste “città immaginate”, naturalmente al MEET».
Nel frattempo farà nuovamente tappa a Milano…
«Dal 4 giugno al 7 settembre al MEET proporremo Promptitude, una mostra che intende esplorare il lato poetico dell’intelligenza artificiale e il tipo di dialogo che un artista può instaurare con essa, controllandola a tal punto da farla diventare una sorta di collaboratore creativo. Sarà accompagnata da un brano musicale generato dall’AI, intitolato E n, che si evolverà continuamente all’infinito, mai uguale a se stesso».
Come accade sempre nelle sue esibizioni dal vivo…
«In realtà, quest’anno non avevo in programma nessun concerto, ma quando mi è stata proposta l’opportunità di suonare in Piazza San Marco a Venezia (3 luglio) e nell’Anfiteatro degli Scavi di Pompei (5 luglio), non ho potuto dire di no».