sabato 28 maggio 2022
Benedetta Tobagi legge l’Apocalisse: dai depistaggi sulle stragi al ruolo dell’informazione Domani la sua meditazione a Vicenza per il Festival Biblico
Benedetta Tobagi

Benedetta Tobagi - Ansa

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«Le pagine della Bibbia, in particolare le più dure nel rappresentare la disperazione dell’uomo che non capisce il disegno, che non capisce il male, sono le più preziose, perché per trovare la speranza dobbiamo avere il coraggio di stare a contatto con la disperazione». Parola di chi, come la scrittrice e storica Benedetta Tobagi, legge il testo sacro a partire dall’essere figlia di una vittima del terrorismo. Suo padre Walter (giornalista del Corriere della sera e prima ancora di Avanti e Avvenire), infatti, è stato ucciso da un commando di brigatisti rossi il 28 maggio del 1980. Domani la storica milanese, classe 1977, che si è molto occupata di stragi terroristiche nell’Italia degli 'anni di piombo', è chiamata a tenere una meditazione sulla Bestia dell’Apocalisse al Festival biblico di Vicenza. Tobagi non è nuova al confronto, da laica, con la Bibbia. Oltre ai volumi, tutti per Einaudi, sulla storia del padre ( Come mi batte forte il tuo cuore, 2009), sulla strage di piazza della Loggia ( Una stella incoronata di buio, 2013) e un saggio su Piazza Fontana. Il processo impossibile (2019), ha infatti curato per una collana della Piemme il libro di Giona( in quell’occasione l’Apocalisse fu letta dallo scomparso filosofo Giulio Giorello). Due le modalità che la studiosa indica per ricercare nuova speranza. Una è «il coraggio di guardare il male così com’è, i problemi così come sono, per cercare una soluzione». Da un punto di vista più psicologico, poi, «soltanto andando fino in fondo al proprio dolore, riconoscendolo e accettandolo, è possibile superarlo e liberarsene, per costruire un nuovo orizzonte di senso e di fiducia».

Come si è avvicinata a un testo così enigmatico e quali spunti ne ha tratto?

Con grande umiltà, data la sua complessità. Mi ha molto stimolata la riflessione sulla Bestia come manifestazione, estremamente vivida, del potere e del male morale. L’accostamento che cercherò di sviluppare in questa meditazione è alla ricerca che conduco da una decina d’anni sulla storia delle stragi. Quindi non solo il tema della violenza e del male morale, ma proprio della violenza che prende la forma della menzogna e dell’abuso di potere.

Fa venire alla mente Battiato. La meditazione cade non solo il giorno dopo l’anniversario dell’uccisione di suo padre, ma anche a pochi giorni dal trentennale della strage di Capaci. Come sono entrate queste due date nella riflessione?

C’è una coincidenza ancora più forte. Il 28 maggio non è solo l’anniversario dell’uccisione di mio padre, ma anche, sei anni prima, della strage di Brescia. Ne ho scritto anche a partire da questa coincidenza abbagliante, potentissima. La Bestia degli abusi di potere e dei depistaggi si è, poi, riproposta nelle stragi mafiose. Questione che non pone solo grossi interrogativi politici e storici, ma anche ci interroga molto come cittadini. Una domanda che mi fanno spesso gli studenti delle scuole dove vado a parlare è: «Come si fa ad avere ancora fiducia nello Stato e nelle istituzioni?».

La violenza terroristica assume tante matrici; politica, mafiosa, ma anche religiosa e razziale. C’è un filo comune che le unisce?

Da storica fino al midollo amo distinguere. Ma se c’è qualcosa che accomuna questi fenomeni è la crisi che scatenano nei cittadini che assistono a questa violenza. Perché distrugge la vita per motivi astratti e spesso colpisce chi lotta in modo pacifico per i diritti e per la verità. Sono proprio le Scritture che vanno a cogliere l’elemento umano che trascende le specificità storiche. Cioè il fatto che queste forme di violenza ci mettono di fronte alla morte violenta dell’innocente, a volte addirittura del giusto. Allora siamo proprio come l’uomo dei Salmi che grida al cielo e chiede «perché?».

Si discute molto di armi. Nelle guerre, come per il terrorismo, c’è anche l’arma dell’informazione. Anche qui agisce la Bestia?

La verità è una sua vittima, sottolinea l’Apocalisse. C’è l’immagine pazzesca del falso profeta a servizio della bestia che, come nell’affresco del Signorelli nel duomo di Orvieto, si presenta con le sembianze, con l’abito del Cristo. In modo simbolico ci viene proposto un altro nucleo tragico che si sta riproponendo: la difficoltà di informarsi e capire. Per questo sono grata a giornalisti e inviati di guerra che stanno svolgendo il loro lavoro con grande limpidezza.

Senza entrare nella simbologia numerica legata alla Bestia, si può azzardare un paragone con gli algoritmi, con la spersonalizzazione e disintermediazione che vengono dai social. Orwell invocava il Grande fratello, c’è questo pericolo?

Ma Orwell scriveva diversi decenni fa e da allora di Grandi Fratelli ne abbiamo avuti un sacco. Mentre la parola chiave secondo me è 'disintermediazione'. La cosa molto pericolosa è il cocktail esplosivo tra questa e la manipolazione. Da un lato i social permettono di inondare la rete di contenuti senza l’intermediazione di persone che sarebbero tenute a un’etica, come i giornalisti. Dall’altro gli algoritmi permettono di creare una finta vox populi. Questa è la novità del nostro tempo, perché permette di creare l’illusione di comunicazione spontanea in cui le persone trovano voce. Invece questa comunicazione spesso è manipolata in maniera surrettizia e crea i presupposti per cui le peggiori opinioni e i più bassi istinti trovano un’audience che non avevano. È una sfida enorme.

Uno degli intenti di questa edizione del Festival è proprio fare uscire l’Apocalisse dalla fama di libro delle catastrofi, per leggerla come scrigno di indicazioni per agire nel presente. Quali elementi di speranza vi ha trovato?

Nell’Apocalisse ci sono parole stupende, tra le più belle che siano state scritte sulla speranza: «Non ci sarà più né lutto né lamento né affanno. perché le cose di prima sono passate». Quest’immagine è come la pace alla fine di un pellegrinaggio, quando il pellegrino, raggiunta Santiago de Compostela, vede con emozione l’oceano a Finisterre, la 'fine del mondo', che si apre davanti a lui.

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