mercoledì 30 aprile 2025
In un romanzo di Tiziana Lupi la vicenda della studiosa che scoprì le reliquie dell'Apostolo nella Basilica. In un'epoca difficile per le donne fu osteggiata nell'accademia e in Vaticano
L'archeologa Margherita Guarducci

L'archeologa Margherita Guarducci - Siciliani

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Pubblichiamo ampi stralci della prefazione scritta dal giornalista e regista Marco Spagnoli al romanzo di Tiziana Lupi La tomba di san Pietro. La storia dimenticata di Margherita Guarducci (Minerva edizioni, pagine 160, euro 15,00; in libreria da oggi).

Questo libro mette insieme fatti realmente accaduti a storie, leggende e ipotesi non del tutto confermate, ma che – al tempo stesso – restituiscono il senso ultimo di quanto accaduto in quegli anni dinanzi a uno dei più grandi ritrovamenti religiosi, storici e archeologici della Storia. La tomba di san Pietro va preso per quello che è e vuole essere: un’opera di finzione che ha al cuore una profonda verità, ovvero che la cristianità e la storiografia ufficiale hanno dimenticato il lavoro, l’impegno e la passione di una donna, la più grande epigrafista mondiale del XX secolo: Margherita Guarducci. Una sorta di Lara Croft ante litteram, una archeologa ed epigrafista che, a soli vent’anni, dopo la laurea a Bologna, è andata in Grecia e ha partecipato perfino allo studio della Macchina di Anticitera, quell’antico congegno meccanico scoperto nel 1900 nei pressi dell’isola greca da cui ha preso il nome, a pochi chilometri da Kythera. La macchina è datata tra il 150 e il 100 a.C. ed è considerata il più antico calcolatore meccanico conosciuto. (...)

A Creta, Margherita Guarducci, a soli ventisei anni, iniziò a ricercare e studiare tra i resti archeologici le iscrizioni – poi pubblicate in quattro volumi, tanti quanti quelli della sua limpida trattazione dell’epigrafia greca – accanto al suo maestro Federico Halbherr. «Restano di quegli anni foto ingiallite dal tempo, che conservano i tratti di una bella giovane donna, dai capelli scuri raccolti e dallo sguardo intelligente» osserva lo storico Giovanni Maria Vian nel ricordo della studiosa per i 150 anni dell’Unità d’Italia. «Vuole la leggenda che il suo professore se ne invaghisse, spingendosi forse a qualche timido approccio, che s’immagina impacciato ma soprattutto liquidato da un irremovibile “Non faccia lo stupido”. Non si conoscono infatti amori di “donna Margherita”, che mai si sposò, e visse con la sorella. Dal 1931 prese il posto del maestro scomparso, sulla cattedra d’Epigrafia e Antichità Greche nell’Università di Roma tenuta per un quarantennio. Qui presto la signorina acquistò fama e autorità, consacrate dal soprannome non benevolo – e un po’ irriverente in quanto appellativo della Madonna – di virgo potens, forse allusivo anche della granitica fede cattolica della studiosa che, tra l’altro, non nascose la sua adesione politica di destra e si schierò contro le legalizzazioni di divorzio e aborto». Una figura di conservatrice anomala: emancipata da un lato, al limite del reazionario dall’altro e per questo volutamente ignorata dalla sinistra e vagamente ricordata dalla destra come comunque una personalità scomoda. Questa Margherita Guarducci è proprio quella cui noi dobbiamo il ritrovamento delle ossa di san Pietro e una serie di studi che confermano la presenza del Padre della Chiesa nelle viscere della basilica a lui dedicata. Una donna di cui, però, si è dimenticato il nome e che solo gli studiosi ricordano.

La statua bronzea di San Pietro nella Basilica vaticana, attribuita ad Arnolfo di Cambio (XIII sec,)

La statua bronzea di San Pietro nella Basilica vaticana, attribuita ad Arnolfo di Cambio (XIII sec,) - Alamy Stock Photo

Come è possibile che sia accaduto? Il #metoo come movimento di pensiero, prima ancora che sociale e femminista, sta fortunatamente portando a riscoprire figure femminili vittime di una storiografia prevalentemente maschile e maschilista per troppo tempo. Margherita Guarducci era una figura complicata, “estrema” e certamente non incline al compromesso. Così come ce la ricorda lo storico Franco Cardini, suo allievo, in un importante articolo che costituisce la testimonianza più forte e viva di un allievo di questa maestra, oggi dimenticata, morta – significativamente – a pochi mesi dalla fine del secolo, il 2 settembre 1999, come a dire di essere e volere restare aggrappata a quel XX secolo e alle sue contraddizioni di cui è stata figlia ed esponente: «Ne avevamo tutti un po’ paura. Qualcuno perfino la detestava. E non era per nulla, in effetti, una donna facile. Con in più quella strana, bislacca idea della “militanza”, come la chiamerebbe oggi qualcuno; o della “testimonianza”, come forse avrebbe preferito chiamarla lei» spiega Cardini nell’articolo pubblicato molte settimane dopo la sua morte per dire come alla Cultura italiana di questa studiosa importasse davvero poco.

Margherita Guarducci, la “nostra” Margherita, era nata a Firenze nel 1902. Nata col secolo, se n’è andata insieme con un secolo nel quale era stata immersa e che ha attraversato alla grande, nei lunghi novantasette anni della sua esistenza infaticabile. È scomparsa infatti due mesi fa, in quella Roma ormai da tempo non meno sua di Firenze. Non tutti i giornali se ne sono occupati; non sono certo che radio e televisioni varie ne abbiano dato notizia. La Radio Vaticana l’avrà senza dubbio fatto. Almeno, voglio sperarlo. Non era simpatica, Margherita. O meglio: lo era come siamo noialtri fiorentini, che a volte spariamo delle battute irresistibili. Ma siamo spesso antipatici, nonostante il nostro spirito. Lo siamo perché il nostro humour è troppo spesso ispido, crudele, freddo come una lama ben affilata. E perché come una lama lo usiamo. E poi era una faziosa. Di solito i faziosi “laici” tutti li perdonano. La loro faziosità, anche quando è ottusa e ingenerosa, viene giudicata “rigore”. I cattolici, invece, se sono faziosi non meritano l’aggettivo di rigorosi. Li trattano sempre da fanatici, da intolleranti. E Margherita Guarducci aveva commesso un atto di fanatismo imperdonabile. Pretendeva che le sue scoperte di epigrafista e d’archeologa confermassero la tradizione religiosa; che confermassero, addirittura, la tradizione devozionale. Quale improntitudine. Il fatto è che i suoi ragionamenti, le sue tesi, le sue scoperte, erano anche difficili da contestarsi. (...)

Fu una enfant prodige. Una fille prodige, per meglio dire. Si laureò giovanissima a Bologna, nel 1924, quando poche erano le donne che frequentavano l’università. Dopo un soggiorno ad Atene fondamentale per la sua formazione di epigrafista e archeologa, nel 1942 divenne ordinaria presso l’Università di Roma; nel 1969 vide aprirsi le porte dei Lincei, che non si dischiudono facilmente alle donne. (...) Ma il suo grande anno, per molti motivi, fu il 1952. Fu allora che papa Pio XII compì uno straordinario atto di coraggio: stabilì che la Chiesa poteva serenamente sfidare il confronto fra tradizione e scienza e ordinò a quella professoressa cinquantenne di scavare sotto l’altare della “confessio” della basilica di San Pietro. Si trattava, nientemeno, di verificare se davvero in quel luogo c’era qualcosa che si poteva anche sotto il profilo archeologico ritenere ragionevolmente la tomba dell’apostolo Pietro, sistemata in età costantiniana. Margherita Guarducci si mise al lavoro con metodo infaticabile: prima attraverso la decifrazione di alcuni graffiti, infine – correva l’anno 1963 – grazie a un’accurata ricerca in loco, essa riuscì a identificare quelle che ancor oggi, con molta probabilità, si possono ritenere le autentiche reliquie di san Pietro. L’archeologa aveva riportato alla luce le ossa del Principe degli Apostoli; ci mise essa stessa quasi un anno a convincersene, ma nel 1964 lo dichiarò senza più dubbio alcuno. Papa Paolo VI non mancò di esprimerle con parole esplicite e commosse la sua gratitudine. Una scoperta del genere non è inferiore, per importanza, a quella dell’impianto della città di Troia o della tomba del faraone Cheope. Eppure, da essa non provennero alla Guarducci né la fama né i riconoscimenti che c’era da aspettarsi le sarebbero stati tributati. Anzi: molte furono le critiche – il che è logico in casi come questo – ancor di più le opposizioni, negli stessi ambienti vaticani. E peggio ancora andarono le cose quando la Guarducci, fondandosi sempre sulla sua convinzione del primato romano che lo studio della tomba dell’Apostolo aveva rafforzato, espresse qualche critica nei confronti del “falso ecumenismo” diffuso in seguito ad alcune interpretazioni del Concilio Vaticano II, da lei considerate rinunziatarie (...).

Questo, dunque, è un libro volutamente pop che prende una grande storia e cerca di renderla popolare. Non ha pretese di scientificità, ma solo lo scopo di ricordare una figura così importante, ponendo delle domande chiare: Perché di Margherita Guarducci esistono così poche tracce nella cultura italiana e nella storia del Vaticano? Perché non sono state fatte fiction, film e pubblicate biografie approfondite per una donna così unica e così determinata? Perché il sessismo della Chiesa cattolica dell’epoca l’ha tanto osteggiata e come e perché lei ha fatto comunque così tanto per arrivare alla Verità? (...) Non esistono che poche tracce di una biografia scarna ed essenziale di una donna che ha scelto l’insegnamento e lo studio come vita. Perché ci siamo dimenticati di lei?

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