venerdì 27 aprile 2012
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​«Era da tempo che volevo mettere in scena questa commedia sulla vecchiaia, ma non trovavo nessuna attrice che volesse fare la parte dell’anziana. Eppure bisogna ringraziare il destino di essere diventati vecchi, se no vuol dire che si è morti giovani». Conferma ancora una volta la sua verve Isa Barzizza, classe di ferro 1929, figlia del grande maestro Pippo Barzizza, diva dell’avanspettacolo con Macario, regina del cinema accanto a Totò in ben 11 film. Ora si lancia in una nuova sfida teatrale quantomai coraggiosa, portando in scena, appunto, la vecchiaia e la malattia. Guida alla sopravvivenza delle vecchie signore, nuova produzione del Teatro Carcano, è una deliziosa commedia scritta dal commediografo americano Mayo Simon che debutterà in prima nazionale a Milano il prossimo 2 maggio con la regia di Giuseppe Pambieri. A confronto due donne: Netty (Marina Bonfigli) è un’anziana signora che, iniziando ad accusare seri problemi alla vista, "adotta" Shprintzy (Isa Barzizza) come "occhi surrogati". Il loro rapporto, fra alti e bassi, riserverà più di una sorpresa. Signora Barzizza, a 82 anni, splendidamente portati, affronta in scena un tema scomodo nella società dell’apparire.Mi sono innamorata del testo di Simon tre anni fa, ma nessuno voleva metterlo in scena proprio perché le protagoniste erano due vecchie. Invece è un testo valido e attuale, perché non solo affronta il tema della vecchiaia, ma anche quello della malattia. Mentre una donna perde completamente la vista, l’altra perde la memoria e finisce in una casa di riposo. Nonostante l’argomento, il testo è leggero e con ironia e umorismo fa un ritratto sincero e onesto della vecchiaia, alla ricerca del difficile equilibrio tra senso di sé ed egoismo, dipendenza e relazione.Ma lei come vede i suoi coetanei?Purtroppo tanti sono attanagliati dalla crisi economica e dalla solitudine. Ma questo spettacolo indica una strada. Bisogna condividere con gli altri, darsi una mano, volersi bene, non chiudersi in solitudini che possono sfociare in atteggiamenti acidi. Invito gli stessi anziani che lo possono fare, a trovare degli interessi, affidandosi anche a strutture che li aiutino a socializzare. Perché purtroppo, non tutti hanno la fortuna di avere una famiglia che li aiuti.Lei, invece, questa fortuna l’ha avuta?Certo, ho avuto una famiglia in cui c’è stato e c’è tanto amore. E mi piacerebbe che anche le famiglie di oggi, specie verso i loro anziani, ne avessero di più. Una grande lezione arriva dai miei nonni. Durante la guerra ci rifugiammo da Torino a Sanremo, dove loro abitavano. Eravamo tutti stretti in una casetta di campagna dove i miei nonni accolsero me, mio fratello, il papà di mio padre, altri tre cugini, i suoceri della figlia. Eravamo ammassati in letti a castello, ma ci volevamo bene. Lì ho imparato il valore dell’accoglienza.Lei per la famiglia ha anche interrotto la sua sfolgorante carriera nel 1957.Quando mio marito, Carlo Alberto Chiesa, morì in un incidente stradale, la mia vita si spezzò. Avevo una bambina piccola e ho deciso di dedicarmi a lei. Mi consigliarono di aprire una casa di doppiaggio. Così ho ricominciato.Che bilancio fa, oggi, della sua esistenza?Alla mia età so che ogni giorno che passa mi avvicina alla fine della via, ma lo considero una cosa naturale. Io guardo sempre al futuro: se lavorerò ancora, bene, se no mi trasferirò in Sardegna dove sta la mia famiglia. Spero in una buona morte, senza soffrire, vicino a mia figlia.
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