martedì 25 aprile 2017
Due volumi ricostruiscono la complessità del pensiero di santa Ildegarda di Bingen (1098-1179), una delle figure più straordinarie non solo del Medioevo
Una scultura che rappresenta santa Ildegarda di Bingen (1098-1179)

Una scultura che rappresenta santa Ildegarda di Bingen (1098-1179)

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Escono da Pistoia due ottimi libri su santa Ildegarda di Bingen (1098-1179), una delle figure più straordinarie non solo del Medioevo, dichiarata Dottore della Chiesa nel 2012. Ildegarda si distingue per complessità e bellezza della sua opera tra poesia, teologia, arte, per la sua fisionomia personale e storica d’immenso fascino e rilievo. Il libro di Michela Pereira (Ildegarda di Bingen, Gabrielli, pagine 176, euro 15,00) è fondamentale per la sua conoscenza, anche sul versante dell’innovazione teologica dell’esperienza femminile; l’altro di Giordano Frosini (Ildegarda di Bingen, Edb, pagine 268, euro 23,80) lo è per il suo inquadramento negli ambiti storici della teologia, anche postconciliare.

Nata a Bermesheim sul Reno da una famiglia feudale, entrata a otto anni nel monastero benedettino di Disibodenberg, Ildegarda possedeva dall’infanzia il dono della lucida visione, all’«ombra della luce vivente»; ma solo a quarantadue anni, divenuta badessa, ubbidì alla voce che le imponeva di scrivere al modo dei profeti, manifestando un’autorità indiscussa anche presso papi e sovrani, da Eugenio III a Federico I Barbarossa, che fustigò quando insisteva con i suoi antipapi.

Era sempre fragile e malata. Eppure affrontò continui viaggi per predicare, e vincendo dure opposizioni, fondò un grande monastero sul Ruperstberg. Verso la fine della vita manifestò ancora la sua natura di Antigone fedele solo alla legge divina, quando disubbidì ai prelati di Magonza che le intimavano di disseppellire dal Rupertsberg il cadavere di un gentiluomo scomunicato.

Illustrati da miniature meravigliose lo Scivias (“Conosci le vie”, 1147-1151), il Liber vitae meritorum (“Il libro dei meriti della vita”, 1158-1163), il Liber divinorum operum (“Il libro delle opere divine”, 1163-1174) si intrecciano alle opere naturalistiche e mediche, al Liber subtilitatum diversarum naturarum creaturarum (“Le sottili differenze delle diverse nature delle creature”), alla rappresentazione sacra Ordo virtutum (“L’ordine delle virtù”, 1141-1151), alle liriche musicate, la Symphonia harmoniae caelestium revelationum(“ La sinfonia dell’armonia delle rivelazioni celesti”, 1151-1158), a esegesi e agiografie, alle splendide epistole in un sistema che corrisponde alla concezione unitaria dell’universo creato dall’Amore di Dio-Trinità: uovo cosmico, poi ruota mossa dallo Spirito infuocato, con al centro l’uomo nella sua duplice forma maschile e femminile.

Sebbene protesti di essere « paupercula » e conoscere solo i Salmi e i Vangeli, Ildegarda fonde tutta la teologia platonico- cristiana: gli stoici, Plotino, Agostino, Dionigi l’Areopagita, Giovanni Scoto (dal Libro sulle nature dell’universo Ildegarda mutua l’homo- omnis, unità ontologica tra uomo e universo, il microcosmo descritto nel Libro delle opere divine), la scuola di Chartres con Guglielmo di Conches, Ugo di San Vittore con De archa Noe, fonte del “pensare visivo” del XII secolo.

Ildegarda si fa specchio ed eco della bellezza sinfonica dell’incarnazione trinitaria di Amore, regolata da Discrezione: vuole combaciare con Carità-Chiarità che è sposa di Dio e Sapienza, lo Spirito Santo che per la verde forza di vita germinante (viriditas) è anima del mondo, e dal seno della Vergine Aurora, trae la luce di zaffiro del Cristo che riconduce all’unità dell’Eden, luogo della prima e ultima intimità con lui.

Michela Pereira è tra i maggiori studiosi di filosofia medievale e alchimia, nonché tra i massimi di Ildegarda, e ne curò con Marta Cristiani Il libro delle opere divine (Mondadori 2002). La sua profonda competenza matura dal 1980, prima dell’exploit storiografico della badessa, sicché il suo saggio è aggiornato ed esaustivo. Espone per quadri il pensiero e le opere con grande ricchezza di documenti, fra cui stralci degli scritti di diversa tipologia, lettere rilevanti a san Bernardo da Chiaravalle e ad altri religiosi, per la prima volta tradotte. Ildegarda, scrive, riconosce la trascendenza nell’esperienza femminile: «l’aspetto femminile del principio divino (...) si esprime nel creato, manifestandosi nella bellezza luminosa della materia vivificata dallo spirito, che in essa si cela e attraverso essa si lascia intravedere».

Nella sua ricca esposizione, monsignor Frosini dispiega la vasta conoscenza teologica di studioso e insegnante, di pastore al cuore della ricerca ecclesiale odierna, perfezionata in anni di opere e pubblicazioni considerevoli, anche nell’ambito della comunicazione. Dalla dotta esegesi storiografica che illustra anche l’eccezionale contesto del XII secolo, emerge la passione per un rinnovamento spirituale che fonde la sostanza delle origini con il messaggio del pensiero simbolico di Ildegarda, basato sulla «concezione integrale dell’uomo». La sua teologia della creazione parla di un Dio che crea per amore: genera come la donna desidera il figlio, ed è un padre «che parla, che ascolta, che ama»: un Dio Persona, immanente e trascendente. Sebbene condivida della propria epoca apocalissi e severità (si veda la condanna dei catari esposta da Pereira), crede in un Dio di misericordia: il rapporto con la morte non è solo punitivo. Anticipa il panenteismo, l’ecologia che santifica la materia vivente; sa che il peccato dell’uomo si ritorce su di lui e il castigo è un’autodistruzione inerente all’atto stesso. Indica la cooperazione dell’uomo nel progetto di Dio, la Chiesa come mistero nella storia, il giusto rapporto fra la Chiesa e il Regno.

Prima mistica a personificare l’Amore divino in una creatura femminile, Ildegarda dà alla luce germi vitali nel linguaggio simbolico della conoscenza profetica, che Pereira accosta alla conoscenza carnale femminile: il calore di gioia nelle viscere «quando ogni sinfonia del cielo» risuona di Maria. La vergine madre, prima materia lucente della creazione, anticipa la “quintessenza” (il paragone, ricorda Pereira, è di Mary Daly) che nutrirà il sogno alchemico di riportare la terra alla purezza del “ Fiat”: virgo/viriditas ha «radici nel sole / e, luminosa e serena / risplende nella ruota / che nessuna altezza sulla terra / racchiude».

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