giovedì 20 febbraio 2020
L’apertura della parte delle carte degli Archivi Vaticani riguardante papa Pacelli inaugura importanti prospettive di ricerca: sono una testimonianza unica per la storia politica, sociale e religiosa
Papa Pio XII durante la sua visita agli abitanti del quartiere di San Lorenzo a Roma distrutto dai bombardamenti nel luglio 1943

Papa Pio XII durante la sua visita agli abitanti del quartiere di San Lorenzo a Roma distrutto dai bombardamenti nel luglio 1943 - Ansa

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Oggi 20 febbraio nella Sala Stampa Vaticana viene presentata l’apertura degli Archivi della Santa Sede per il pontificato di Pio XII (1939-1958), che avverrà lunedì 2 marzo 2020.

Si apre la parte delle carte degli Archivi Vaticani riguardante Pio XII. È un evento culturale rilevante per la storia contemporanea della Chiesa, preparato con cura e intelligenza dai funzionari vaticani. Si aprono importanti prospettive di ricerca. Infatti, il Vaticano di Pio XII fu un’isola di libertà e fiducia nella pace in un’Europa bruciata dalle passioni del conflitto e dalla violenza. Soprattutto, tra il settembre 1943 e il giugno 1944, fu davvero una realtà unica nell’Europa occupata dai nazisti.

Nel secondo dopoguerra, il Vaticano seguì con ansia le vicende dell’Europa occupata dai comunisti, operò per la ricostruzione in Occidente, favorendo un’Europa coesa. Dalla città leonina, si seguirono gli sviluppi del grande Sud, il mondo delle colonie che si risvegliava alla ricerca del suo posto e della sua indipendenza. Gli Archivi Vaticani, dopo il 1939, conservano scrupolosamente le tracce di queste vicende. Non si creda che siano materiali utili solo per la storia della Chiesa. Sono anche una testimonianza unica per la “storia”, tout court, politica e sociale, oltre che religiosa: una delle grandi fonti per la scrittura della storia del Novecento. Sarebbe un errore però limitare l’interesse a Pio XII durante la Seconda guerra mondiale, alla cosiddetta questione dei “silenzi” che tanto ha occupato l’interesse generale. L’espressione “silenzi” ha conosciuto popolarità con il dramma di Rolf Hocchut, Il Vicario, edito nel 1963. Allora si aprì la questione del comportamento del Papa nei confronti della Shoah (tra l’altro, lo dico per curiosità, la pièce fu interdetta a Roma per il “carattere sacro” della città).

In realtà la questione dei silenzi risale ad anni addietro. Fu Pio XII a usare l’espressione “silenzio” in un colloquio con monsignor Roncalli nel 1941, cui chiese se non era giudicato male per questo. Lo scrittore francese, François Mauriac, introducendo nel 1953 un libro di Léon Poliakov, parlava di «silenzi del papa e della gerarchia». Nuovi documenti arricchiranno ora questa problematica, ma da un punto di vista storiografico la questione è già impostata: papa Pacelli scelse di lavorare per la pace, di offrire asilo e aiuti fino a rischiare molto, ma non assunse una posizione di diretta condanna secondo una strategia consolidata. Si potranno valutare, in modo differente, queste scelte, ma è la realtà storica.

C’è molto altro da scoprire negli Archivi Vaticani, anche per il carattere di originale osservatorio del mondo, assunto dalla Santa Sede. C’è da scoprire la transizione del cattolicesimo, sotto la guida di Pio XII, da un mondo ancora eurocentrico a uno più complesso e policentrico. Si apre la grande questione cinese, quella della Cina comunista, che non ha relazioni con la Santa Sede dalla rivoluzione comunista: una vicenda durata più di mezzo secolo. L’India diventa indipendente e le colonie francesi d’Indocina conoscono conflitti e sviluppi. Più generalmente, il mondo cambia tanto. Pio XII ha coscienza acuta dei cambiamenti: uomo della tradizione, per formazione e impostazione, non si chiude in una logica di fortezza. Esamina le novità, come l’esperienza dei preti operai in Francia (anche se nel 1954 ne ordina la chiusura); insiste sul fatto che la Chiesa non s’identifica con la sola civiltà occidentale, anche se teme l’affermazione del blocco comunista. È decisivo che si aprano gli archivi su questo periodo. Non è una novità, come ho più volte scritto, osservare il disallineamento e il ritardo di quest’apertura rispetto agli altri grandi archivi statali del mondo. Ne conosciamo i seri motivi, ma non possiamo non constatare come la storiografia contemporanea su Pio XII si sia ormai consolidata senza l’apporto delle fonti fondamentali. È una realtà, che non è nell’interesse della storiografia e della stessa Chiesa, su cui bisognerebbe riflettere.

Tuttavia, di fronte a una storiografia consolidata, si apre ora una stagione in cui scoppieranno scoop con il ritrovamento di qualche carta in Vaticano. È da aspettarselo. Ma lo storico sa che un documento non fa la storia né capovolge la storiografia. In realtà l’apertura degli archivi su Pio XII è un’opportunità per considerare in modo più documentato il pontificato e la storia del periodo. Anche un’opportunità per una più giovane generazione di studiosi, che si misura su quei tempi fuori dai legami ideologici, che abbiamo conosciuto in altri tempi. La scelta di apertura da parte di papa Francesco è molto significativa: invita la Chiesa a dare più spazio alla storia nella propria coscienza.

Marc Bloch, storico francese della scuola degli “Annales”, ricordava: «Il cristianesimo è essenzialmente una religione storica». Una Chiesa, amica della storia, sa più parlare di speranza e di futuro. Soprattutto è una Chiesa che insegna a leggere i “segni dei tempi”, su cui il Vaticano II ha tanto insistito. Questo esercizio è una carenza della nostra cultura e della vita ecclesiale. Paolo VI così ammoniva: «Questa locuzione “i segni dei tempi” ha pertanto acquistato un uso corrente e un significato profondo, molto ampio e molto interessante; e cioè quello dell’interpretazione teologica della storia contemporanea… È l’antica, sempre viva parola del Signore che risuona ai nostri spiriti: “Vigilate”. La vigilanza cristiana sia l’arte per noi nel discernimento dei “segni dei tempi”». L’evento dell’apertura degli Archivi Vaticani, sotto la guida di un intellettuale sagace come il cardinal Tolentino, non può non essere un significativo fatto culturale, che si riverbera sulla prospettiva con cui i cristiani leggono il proprio tempo.

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