Guerra e cultura: la questione è aperta

Alla Mostra del Cinema fa discutere l’appello al boicottaggio degli artisti legati a Israele. Quali sono le ragioni delle parti? Dov'è il confine tra arte e politica? Che responsabilità hanno?
August 28, 2025
Guerra e cultura: la questione è aperta
Ansa | Una bandiera palestinese sventola alla 82a Mostra del Cinema di Venezia
Non è insolito che il red carpet della Mostra del Cinema di Venezia diventi palcoscenico della cronaca, ma quest’anno ha preso tinte particolarmente drammatiche. La tragedia di Gaza ha conquistato il primo piano, con l’appello del collettivo Venice4Palestine (V4P), che ha chiesto alla Biennale una chiara condanna del «genocidio in corso a Gaza» e l’esclusione di artisti come Gerard Butler e Gal Gadot, noti per il loro sostegno pubblico al governo israeliano. L’appello è stato sottoscritto da oltre 1.500 tra registi, attori e intellettuali, tra cui Valeria Golino, Matteo Garrone, Marco Bellocchio, Alice e Alba Rohrwacher. In seguito alle polemiche i due attori hanno deciso di non venire al Lido. Anche la guerra in Ucraina aveva prodotto richieste di boicottaggio ed effettivi bandi di artisti russi. Dove è il confine tra arte e politica? Come si colloca la cultura in un conflitto? Quali sono le sue responsabilità? Sono questioni aperte, che non riguardano solo la cronaca ma hanno a che fare con la storia.

Il direttore d'orchestra Omer Meir Wellber:«L’esclusione rinunciaalla complessità»

Se sei un artista, per il quale la libertà è l’unico criterio guida, non puoi boicottare un altro artista». Classe 1981, israeliano di Be’er Sheva, «ma ormai anche mezzo italiano», Omer Meir Wellber non capisce «da artista gli appelli al boicottaggio ad artisti israeliani». Poi il direttore d’orchestra, sino a giugno guida del Teatro Massimo di Palermo e pronto ora a iniziare dal 1 settembre il suo nuovo incarico di General music director ad Amburgo, dice chiaro: «Benjamin Netanyahu sta facendo cose orribili. Ormai in Israele sono in pochi a stare dalla sua parte».
Parole che va ripetendo «ormai da due anni. Doverosamente». Ma resta perplesso di fronte agli appelli al boicottaggio. «Perché le cose sono molto più complesse di quello che sembra. E il tema del boicottaggio ci costringe, ancora una volta, a interrogarci sul ruolo dell’arte e sul compito di noi artisti». Guarda al passato e fa alcuni esempi, Wellber. «Pablo Picasso, un grande, era spagnolo. E in quel momento in Spagna c’era il regime di Franco, ma nessuno si è sognato di dire: boicottiamo Picasso». E ancora. «Leni Riefenstahl, la grande fotografa tedesca era da boicottare perché amica di Hitler? Io dico di no. Certo Hitler era il criminale che tutti conosciamo, ma l’arte della Riefenstahl va oltre le sue frequentazioni. E quando la mafia uccise Falcone e Borsellino a nessuno venne in mente di boicottare l’Italia per la paura della mafia».
Omer Weir Wellber - .
Omer Weir Wellber - .
Ecco il punto «per dire che il boicottaggio non solo è stupido, ma soprattutto va contro la nostra natura di artisti per i quali la cosa più importante è la libertà. E se vuoi la libertà – spiega il direttore – devi anche dare la libertà agli altri e hai il dovere di usare la tua libertà al meglio». Per il musicista «gli appelli al boicottaggio rischiano di essere solo slogan, un video di venti secondi per farsi pubblicità. Ma se davvero sei un artista non parlare a slogan, fai quello che sai fare, inventa, crea, scrivi un libro, gira un film. Se sei un artista – riflette – devi reagire a ciò che accade nel mondo, ma devi farlo dentro il tuo medium perché se esci dal tuo mezzo fai altro, fai politica, che va bene, ma non è più arte».
Perché il rischio boomerang è dietro l’angolo. «Se parliamo a slogan rinunciamo alla nostra vocazione di artisti e come allora poi potremo essere ancora credibili?». Wellber rincara la dose. «Mi sembra che quella parte che vuole essere tollerante usi le stesse tecniche che usavano il fascismo e il nazismo. Nella Notte dei cristalli vennero bruciati i libri degli ebrei, i libri dei nemici, per boicottarli. Ma l’arte non può essere nemica. E io come artista, per di più israeliano, dico invece: vennero bruciati dei libri, vennero bruciate opere d’arte». Allora per il musicista «noi artisti dobbiamo tornare a usare il simbolo. Non dobbiamo descrivere la realtà come un fisico che descrive i fenomeni, ma dare strumenti per interpretarla».
Mette sul tavolo alcune idee. «Se fossi il direttore della Mostra del Cinema di Venezia finanzierei film da affidare a russi, ucraini, israeliani, palestinesi assegnando un tema comune sul quale poi, attraverso l’arte, confrontarsi. E agli operatori culturali israeliani dico: perché non promuovere a Tel Aviv un festival del cinema iraniano? Dobbiamo conoscerci» spiega, dicendo poi di «restare sempre stupito dalla velocità con la quale il mondo dell’arte si lascia contagiare da certe proposte. In economia tutto questo non avviene così rapidamente, anzi, non avviene proprio. Perché in Europa nei giorni scorsi è caduta la proposta di boicottare l’hi-tech israeliano? L’unico boicottaggio che andrebbe davvero a segno, facendo finire tutto nel giro di due giorni, è quello economico. Ma dovrebbero metterlo in atto i governi. Il resto lascia il tempo che trova. E se come artisti rinunciamo al nostro compito diciamo: ha vinto la politica che basa tutto sull’economia».
Wellber parla di «mancanza di rispetto per l’arte. Se butti lì uno slogan, ma non fai un film, non scrivi un libro, se non fai il tuo compito di artista allora vuol dire che non credi davvero alla forza dell’arte. Io faccio ciò che so fare, dirigo, ma scrivo anche. Proprio in questi giorni in Israele viene pubblicato il mio nuovo romanzo, Ciò che le mani ricordano, una storia che parla di perdono, che evoca Caino e Abele, ma senza citare i conflitti di questi anni. Eppure, per chi vuol capire, il messaggio è chiaro».
Pierachille Dolfini

L'attore Claudio Santamaria: «Tra arte e politica non c'è vero confine»

«Un dialogo attraverso la cultura? Qui non c’è dialogo, c’è sostegno a un genocidio». Claudio Santamaria, tra gli attori più impegnati e intelligenti del cinema italiano, è tra i 1.500 firmatari dell’appello Venice4Palestine, che chiede un chiaro posizionamento alla Mostra del Cinema di Venezia di fronte alla crisi umanitaria in corso a Gaza. «Rischiamo di vivere l’ennesimo grande evento impermeabile a questa tragedia umana, civile e politica» si legge nella lettera. «La Biennale e la Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica dovrebbero celebrare la potenza dell’arte come mezzo di trasformazione, di testimonianza, di rappresentazione dell’umano e di sviluppo della coscienza critica. Ed è proprio questo a renderla uno straordinario mezzo di riflessione, di partecipazione attiva e di resistenza» aggiungono i firmatari.
Il dibattito si è acceso soprattutto dopo una seconda comunicazione del collettivo, che chiedeva l’esclusione di due artisti per le loro posizioni a favore della politica israeliana su Gaza. Una richiesta che ha riaperto il confronto sul ruolo della cultura nei conflitti.
«Se fosse un conflitto tra due eserciti sarebbe un'altra cosa. Qui si parla di una pulizia etnica, di genocidio. È terribile» afferma Santamaria, evidenziando la sproporzione devastante che coinvolge due milioni di civili.
Claudio Santamaria - Ansa
Claudio Santamaria - Ansa
Per l’attore, in questo scenario, non può esistere una linea netta tra arte e politica. «Il mondo della cultura è fatto da persone che osservano, sentono. È evidente cosa stia succedendo. È giusto che gli artisti usino la propria visibilità per mantenere alta la sensibilità collettiva, in un momento in cui rischiamo di diventare anestetizzati alla violenza quotidiana». Santamaria sarà a Venezia domenica per ricevere il premio Filming Italy, per il folm Il Nibbio dove interpreta Nicola Calipari, mentre sabato si terrà una manifestazione propalestinese al Lido. «Il direttore Alberto Barbera è sempre stato aperto al dialogo. Spero venga permesso sfilare pacificamente vicino al Palazzo del Cinema. È un’occasione per mostrare, anche ai governi, che la società civile è presente. Dobbiamo usare questi spazi in modo utile».
Sul tema dell’esclusione degli artisti di cui sopra, Santamaria chiarisce che non si tratta di escludere gli israeliani a priori: «Non si tratta di discriminazioni razziali o di provenienza, ma dell’opportunità di invitare chi ha sostenuto in modo diretto o ambiguo le azioni dell’esercito israeliano. È sostegno a un genocidio». L’attore manifesta vicinanza per le sorti degli ostaggi israeliani ed è consapevole che esista anche un importante fronte interno in Israele contro il premier: «Netanyahu sta isolando il popolo israeliano, mettendolo in pericolo. Lo sta facendo diventare un bersaglio odiato a livello globale».
Una posizione complessa, ammette Santamaria, che si interroga anche sulle riflessioni di chi ha sostenuto che il cinema non sia il luogo per escludere artisti. «Anch’io ho dei dubbi, ma è difficile accettare nel dialogo democratico chi supporta un genocidio. Diverso è per coloro che provano empatia per le sofferenze causate ai palestinesi da questa immane tragedia». Parallelamente, l’attore sostiene attivamente la Global Sumud Flotilla, la più vasta flottiglia civile e pacifica mai organizzata per portare aiuti a Gaza. «Mi hanno chiesto di essere megafono di questa causa nobilissima. Serve a raccogliere donazioni, ma anche adesioni per la spedizione. Sarà una flotta pacifica, carica di aiuti e speranza per un popolo che si sente abbandonato. Dobbiamo aiutarli a vedere una fine a questa brutalità».
Angela Calvini​

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