sabato 20 febbraio 2016
​La prima de "Il barbiere di Siviglia" di Rossini, il 20 febbraio 1816, fu un fiasco: ma oggi è la seconda opera più eseguita al mondo.
Duecento anni con Figaro
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E pensare che all’inizio fu un terribile flop. Di quelli da stroncare una carriera. Perché il 20 febbraio del 1816 al Teatro Argentina per Gioacchino Rossini, che allora aveva appena 24 anni, ci furono solo fischi. Roba da non credere se si pensa che oggi il «Figaro qua, Figaro là, Figaro su, Figaro giù» lo canticchia anche chi non ha mai sentito un’opera. Perché è diventato un brano pop. Tanto che a Leo Nucci racconta che «mi capita di scoprire salse di pomodoro e deodoranti che come colonna sonora delle loro pubblicità hanno la mia voce che intona il “Tutti mi cercano, tutti mi vogliono”». Duecento anni fa a Roma la prima de Il barbiere di Siviglia. L’opera più opera che il compositore di Pesaro trasse da una commedia, datata 1775, di Pierre Augustin Caron de Beaumarchais. Il pubblico di allora forse si dimostrò diffidente nei confronti di quello che oggi chiameremmo un remake. Perché in circolazione c’era già un altro Barbiere di Siviglia, composto nel 1782, solo trentaquattro anni prima, da Giovanni Paisiello (qualcuno pensa che l’insuccesso della prima fu dovuto agli ammiratori di Paisiello, giunti a Roma solo per contestare Rossini) per San Pietroburgo e in breve diventato popolarissimo in tuta Europa. Lo stesso effetto che fa vedere rifatto un classico del cinema. Solo che allora la nuova versione, passata la burrasca della prima, fece dimenticare quella originale del musicista di Taranto. Tanto che oggi è una rarità ascoltarla. Il Barbiere di Rossini non ha rivali. Ogni anno colleziona qualcosa come seicento recite in tutto il mondo, secondo solo al nazionalpopolare Giuseppe Verdi di Traviata. È l’opera più copiata e più citata. Un caso su tutti, Adriano Celentano che nel 1981 per il film Innamorato pazzo canta una serenata sulle note del Largo al factotum cambiando le parole del libretto di Cesare Sterbini e sostituendole con un «Cotto cottissimo, innamorato di quella là». L’opera più stravolta. Figaro, nell’ultima edizione che l’Opera di Roma ha affidato al regista Davide Livermore, è diventato (non senza le contestazioni del pubblico) un tagliatore di teste, precursore delle ghigliottine della rivoluzione francese. Ma di recente è stato trasformato in un cartone animato da Pier Francesco Maestrini. Al Teatro alla Scala e all’Arena di Verona è arrivato in mongolfiera. Luca Ronconi lo ha fatto cantare a testa in giù al Comunale di Bologna, mentre Damiano Michieletto per il suo allestimento all’Opèra de Paris ha pensato di trasportare in una Siviglia contemporanea la storia e di raccontare la storia d’amore tra Rosina e il Conte d’Almaviva con atmosfere cinematografiche alla Pedro Almodóvar. «Per me la regia per eccellenza resta quella di Jean Pierre Ponnelle, superclassica e divertente, ma rispettosissima della musica. Non una farsa perché il Barbiere deve far sorridere, non ridere a crepapelle. Perché la beffa ai danni di Bartolo è qualcosa di profondamente tragico per lui che si vede sottratta la promessa sposa» dice Nucci, il Figaro per eccellenza di oggi, dall’alto delle sue 400 recite nei panni del barbiere. «Ho debuttato il 10 settembre 1967 a Spoleto proprio vestendo i panni di Figaro – racconta il baritono – e la regia era quella che Carlo Piccinato aveva realizzato per Maria Callas alla Scala. Teatro dove ho debuttato nel 1977 proprio con il Barbiere. Titolo che ha segnato anche la mia prima volta a Vienna». Nucci, costretto spesso a fare il bis del Largo al factotum dagli applausi interminabili del pubblico, è stato anche il primo a cantare Il barbiere di Siviglia a Siviglia. «Era il 1994 e, caso strano, l’opera non era mai stata fatta in città» ricorda Nucci che proprio stasera a Siviglia aprirà un concerto con la cavatina di Figaro. Roma, ma anche Atene, Bucarest e Sydney le città dove stasera andrà in scena l’opera. Ma in questi giorni si moltiplicano gli “allestimenti del bicentenario”: Figaro canta a Parigi come a Mosca e a Baltimora. E ogni volta è un successo. «Perché l’opera ha melodie pop che sono entrate a far parte della nostra quotidianità: La calunnia di Don Basilio o Una voce poco fa intonata da Rosina. E poi il Largo al factotum che nel 1816 era qualcosa di unico e mai ascoltato, una musica innovativa per l’epoca, un modo di far teatro modernissimo tra effetti speciali come il temporale e una caratterizzazione psicologia dei personaggi. Tanto che a dispetto del libretto che ambienta le vicende a Siviglia, Figaro e i suoi compagni hanno un carattere di italianità nel quale ancora oggi ci possiamo rispecchiare» spiega Nucci che ricorda di aver studiato la parte a Roma, con Luigi Ricci, su un pianoforte che, leggenda vuole, era quello sul quale Rossini ha composto l’opera: «Due settimane frenetiche, ma anche di divertimento per il musicista che con il Barbiere ha fatto una rivoluzione nel teatro d’opera: tutti i melodrammi di Rossini sono patrimonio degli appassionati, ma questa partitura è un patrimonio dell’umanità». Il barbiere di Siviglia nel 1947 è diventato un film con la regia di Mario Costa e Tito Gobbi nei panni di Figaro. Ma è stato “recitato” a Torino anche dalle marionette di Augusto Grilli ed è diventato un fumetto con i disegni di Emanuele Luzzati. Segno di un successo unanime. Nonostante la falsa partenza. Quando, il 20 febbraio 1816, Rossini, seduto al cembalo in orchestra, vide naufragare la sua opera. Prima al Conte d’Almaviva si ruppe una chitarra della corda usata per accompagnarsi nella serenata, poi Don Basilio cascò in mezzo al palco. Infine un gatto nero attraversò la scena suscitando ilarità e gesti scaramantici tra il pubblico. Ma forse non portò così sfortuna.
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