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La cantante israeliana Yval Raphael durante la finale di Eurovision Song Contest 2025 a Basilea - ANSA
La musica unisce e non divide. Questo, perlomeno, nelle intenzioni degli organizzatori di Eurovision Song Contest 2025 che si è concluso sabato sera a Basilea con la vittoria dell'Austria con il controtenore 24enne JJ e la ballata elettro-pop Wasted Love, il quinto posto dell’Italia con Lucio Corsi (quarto per le giurie di qualità dei 37 Paesi in gara e solo 97 punti dal televoto), l'imprevedibile ultimo posto di Gabry Ponte in gara per San Marino. Ma la vera sorpresa è stato il televoto arrivato a valanga a favore della cantante israeliana Yuval Raphael che ha ottenuto il più alto numero di voti (297) da parte dei telespettatori che sommato al punteggio modesto (solo 60 punti) da parte della giuria di esperti del concorso ha spinto Israele al secondo posto.
Ma Eurovision, nata nel 1956 a Lugano sull’onda dell’ottimismo postbellico sul sogno una Europa unita, fa sempre più fatica ad essere neutrale e a mantenersi una manifestazione pacifica. Purtroppo come il Festival di Sanremo è lo specchio dell’Italia, Eurovision è sempre più lo specchio delle spaccature e delle divisioni del Vecchio continente agitato dai venti di guerra internazionali. Lo aveva già dimostrato nel 2022 a Torino con l’esclusione della Russia a causa dell’invasione dell’Ucraina che in quell’edizione vinse Eurovision con la Kalush Orchestra e la sua Stefania a furor di televoto da tutta Europa.
Da regolamento, per volontà degli organizzatori, quella di Basilea doveva essere una edizione che lasciava fuori dalla porta la politica e l'attualità. Niente bandiere sventolate tra il pubblico che non fossero quelle dei Paesi in gara, niente fischi, niente polemiche, divampate all'annuncio che anche quest'anno Israele sarebbe stato in gara.
Invece si è arrivati ai ferri corti. Dapprima la cantante israeliana Yuval Raphael, sopravvissuta all'assalto del 7 ottobre 2023 fingendosi morta per otto ore sotto i corpi degli altri partecipanti uccisi al Nova Festival, era stata minacciata sul Tourquoise Carpet col gesto della gola tagliata da un sostenitore pro Palestina. "Tutto ciò che volevo era rendere onore al mio Paese, renderlo orgoglioso e dare un piccolo secondo di pace nel mezzo di tutta la follia” ha detto la cantante alla tv pubblica israeliana Kan felice del secondo posto della sua commentando il suo secondo posto con New Day Will Rise, brano sulla rinascita.
Mentre durante la finale fuori dalla St. Jakobshalle si sono registrati scontri tra manifestanti filo-palestinesi e polizia, all'interno dell'arena - secondo quanto riportato dai media israeliani - ci sono stati due tentativi dei manifestanti di assaltare il palco, bloccati dalla sicurezza. I fischi, se ci sono stati, sono stati coperti dagli applausi.
Ma la questione mediorientale, ha agitato anche i rapporti tra l'Ebu - l'organizzazione che riunisce le emittenti di servizio pubblico europee e che organizza l'Eurovision - e la spagnola Rtve. La televisione spagnola era "attenzionata" e minacciata di "multe sanzionatorie" se i suoi commentatori avessero citato nuovamente il conflitto di Gaza, dopo averlo fatto durante la semifinale. Per tutto risposta, poco prima dell'inizio della finale, Rtve ha pubblicato un messaggio netto: "Di fronte ai diritti umani, il silenzio non è un'opzione. Pace e giustizia per la Palestina”.
Si aggiunge oggi anche il premier spagnolo, Pedro Sanchez secondo cui Israele non dovrebbe partecipare a competizioni internazionali come Eurovision, come fu deciso per la Russia tre anni fa. "Pertanto, nemmeno dovrebbe partecipare Israele - ha aggiunto - poiché ciò che non possiamo permettere sono doppi standard anche nella cultura".
Le persone che hanno votato all'Eurovision "con la loro scelta si sono dimostrate autonome, scevre da razzismo, pregiudizi e odio antisemita" ribadisce invece il presidente della Comunità ebraica di Milano Walker Meghnagi. "Ancora una volta le persone si sono dimostrate più mature e indipendenti di certe élites e di chi ritiene di rappresentarle" ha commentato citando anche il massiccio voto proveniente dai teleutenti italiani.
Ma non finisce qui: la radiotelevisione pubblica spagnola Rtve chiederà formalmente all'Unione Europea di Radiodiffusione (Uer) di aprire un dibattito sull'adeguatezza del sistema di televoto e una verifica del voto dell'audience, sollevando dubbi sul suo condizionamento per i conflitti bellici in corso. Rtve ritiene che l'esito del televoto sia stato condizionato dagli attuali scenari di guerra, compromettendo la natura culturale del concorso. E ha evidenziato come nelle semifinali, i Paesi coinvolti in conflitto, Israele e Ucraina, abbiano entrambi vinto il voto del pubblico.
Non è comunque una questione da poco, dato che stiamo parlando dell'evento di intrattenimento dal vivo più seguito e celebrato al mondo, che unisce ogni anno oltre 160 milioni di spettatori con milioni di altri partecipanti online. E dato che si tratta soprattutto di un pubblico giovane, la questione si fa ancora più delicata e complessa. Non è la prima volta che la politica internazionale entra ad Eurovision, ma la visione dei padri fondatori di quello che fu l’Eurofestival sembra non riuscire più a reggere, nonostante l’ottimismo di facciata dei fuochi d’artificio, delle ugole d’oro e dei sorrisi da Espresso macchiato. Fino a quando la musica potrà continuare davvero unire?