sabato 26 novembre 2016
Duccio di Buoninsegna, «Le tre Marie al sepolcro», Siena

Duccio di Buoninsegna, «Le tre Marie al sepolcro», Siena

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L'ultimo libro di Enzo Bianchi (Gesù e le donne, Einaudi, pagine 126, euro 17) presenta quello che tra le donne di Gesù non ci sia la Madre, quell’archetipo della tradizione cristiana in cui la donna è «femmina un giorno e poi madre per sempre», come attesta persino Fabrizio De André.

Questo libro parla delle donne di Gesù: donne con cui non scorre parentela di sangue, né legami di diritto, ma frutto di incontri, ospiti generose, pubbliche peccatrici, madri in lutto, bambine ammalate e adulte innamorate. Sciolte da convenzioni, queste donne di Gesù, stanno «di fronte» a lui e interagiscono con lui sul piano di una pari e libera dignità.

Una scrittura dai modi delicati si affaccia su tale intimità. C’è un pudore quasi devoto verso quelle donne, un ascolto impressionista dei loro gesti silenziosi, delle loro grida o dei loro baci. Una teoria di quadri contemplati, più che commentati, colti nei più discreti dettagli che destano nell’autore – e quindi nel lettore – stupore e piacere. Uno sguardo maschile casto davvero, privo di retorica, così come di pregiudizio, felice di illuminare la bellezza e il senso di quanto accadesse tra le donne e Gesù. Un testimone che non si appropria della materia, ma si pone in essa con mite disinvoltura, facendola, ancora una volta, risplendere.

La pacatezza dell’approccio ha l’intelligenza di mostrare, tuttavia, autentiche rivoluzioni di pensiero, denunce forti intorno alla condizione delle donne di Gesù. Ad esempio, il riscatto di fronte alla Legge - che era rivolta solo ai maschi: «La legge è stata fatta per la donna e non la donna per la legge» (28). Analizzando il racconto lucano della donna curva (Lc 13,10-17), l’autore nota che Gesù la chiamasse: «figlia di Abramo, espressione mai presente né nell’Antico testamento, né negli scritti rabbinici» (53). «Sì, anche lei è figlia di Abramo, realtà evidente eppure mai riconosciuta attraverso l’uso di tale appellativo. Ogni donna è, dunque, erede della Promessa (cf Eb 6,17) in alleanza con il Signore senza bisogno della mediazione degli uomini circoncisi» (54).

Una lettura che spazza via qualsiasi possibilità di affermare la dipendenza della femmina dal maschio, in relazione alla Salvezza. Verità che – ahimè! – ancor oggi dei teologi, credenti e non, vanno negando. Per questo Bianchi cita esegeti di lustro – John Meier o Giuseppe Barbaglio – per affermare che anche «la partecipazione delle donne alla vita comune del gruppo di Gesù (…) è reale e chiaramente riconosciuta».


L’autore si introduce, insomma, in una folla di donne che è sì, all’interno dei Vangeli, ma anche all’esterno, fatta di bibliste, di teologhe femministe – alcune di loro come Marinella Perroni, citate in bibliografia – ma anche di tutte le donne cristiane che aspettano ancora di essere riconosciute nei loro carismi e ministeri. Ed anche nell’immenso coro di dolore delle donne di tutto il mondo, che – come quella di Luca 13 – «sono incurvate dalla durezza della loro vita, dal lavoro loro imposto, dalle umiliazioni e prepotenze subite da parte degli uomini» (51).

Con consapevole onestà, l’autore osserva che le donne scrivono con Gesù pagine di Vangelo e di fede, di sovvertimento e profezia, di Sapienza e teologia. Imprescindibili per il passato e il futuro della Chiesa. Recentemente è stata istituita una Commissione di studio sul diaconato alle donne. Un tema su cui, puntuale, ancorché in maniera mediata, arriva il messaggio del libro. Il ruolo del servizio dei fratelli era forse l’unico accessibile alle donne, ma anche «essenziale a ogni forma di sequela di Cristo» (50); cui si deve aggiungere che la diaconia è quella forma di governo «rovesciata», che Gesù stesso indica come tipica della Comunità cristiana, secondo la sua testimonianza: «Io sono tra voi come un diacono» (Lc 22,27).


Un testo prezioso per gioire dei Vangeli e per dare vele allo Spirito. Anche a motivo dell’ethos dell’autore. Un monaco laico, che ben cinquant’anni fa “generò” un’icona di monachesimo radicato sì, sull’albero antico della Tradizione, ma con vivi germogli di Profezia. Si può capire andando a Bose e assecondando la melodia che viene dalla Chiesa durante la preghiera: un canto a due cori l’uno maschile, l’altro femminile. Un giubilo di perfezione! Del resto «rivestiti di Cristo» non v’è muro che tenga tra uomini e donne. Tutti in piedi, con la fronte in alto, a celebrare la vita che Qualcuno, per Amore di ognuno, ha fatto rialzare.

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