giovedì 11 gennaio 2024
In “Primavera hitleriana”, lirica oscura ma piena di tensione religiosa, traspare l’influsso di Irma Brandeis, discendente dell’ebreo eretico Jakub Frank. Il saggio di Campeggiani
Eugenio Montale (1896-1981)

Eugenio Montale (1896-1981) - archivio

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La visita di Hitler a Firenze il 9 maggio 1938 rimase a lungo impressa nella memoria di Eugenio Montale. Fu infatti l’evento che fece germinare due delle poesie più importanti della sua opera in versi: Nuove stanze, uscita nelle Occasioni (1939), e soprattutto La primavera hitleriana, lirica cuspidale e sfingica della Bufera e altro (1956), dal forte afflato politico- metafisico. Con Montale: La primavera hitleriana (Carocci, pagine 112, euro 13,00) Ida Campeggiani, docente all’Università di Pisa e autrice dell’impeccabile commento mondadoriano alla Bufera (assieme a Niccolò Scaffai), intende raccogliere la sfida di scalare un vero e proprio “Everest dell’interpretazione” in virtù degli strumenti d’arrampicata tipici della filologia e dell’ermeneutica (parafrasi, commento metrico-stilistico, variantistica, analisi dell’impianto metaforico e del «dantismo paradossale»).

Giustamente Campeggiani sottolinea che La primavera hitleriana «condensa in modo sublime gli aspetti decisivi della raccolta [...]: lo stile tragico, l’ispirazione storica, l’impulso narrativo, l’allegorismo, la visionarietà e a tratti l’oscurità nel dettato». Il testo in questione è situato nel cuore delle Silvae, la sezione che è, secondo Romano Luperini, «uno dei vertici (forse il più alto) dell’arte di Montale proprio perché vi si stratificano, condensati in simboli oggettivi di notevolissimo spessore esistenziale e culturale, tutti i motivi principali della sua ricerca umana, artistica, ideologica». Nella Primavera la grande storia (il «messo infernale», l’«alalà di scherani», il «sozzo trescone», la «tregenda» del nazifascismo) si intreccia con la vicenda personale di Montale e Irma Brandeis, italianista americana dagli «occhi d’acquamarina», qui trasfigurata in Clizia («Guarda ancora / in alto, Clizia, è la tua sorte, tu / che il non mutato amor mutata serbi»), la ninfa abbandonata dal Sole e trasformata in eliotropo (così in Ovidio e in un sonetto spurio di Dante citato in esergo), ma anche alter Christus, prosecutrice del messaggio di salvezza cristiano, «iddia che non s’incarna».

«La realtà si fonde con la letteratura, la mitologia, le suggestioni bibliche e mistiche in un testo insieme allegorico e privato; di valore epocale e pure cifrato, mentalmente diretto “a una destinataria”». Ida Campeggiani, che recentemente ha curato la nuova edizione di Sulla poesia (Mondadori, pagine 696, euro 25,00), antologia montaliana di articoli e discorsi apparsi per la prima volta nel 1976, è brava nel fermarsi là dove l’obscurisme tocca risacche profonde di magmatica indicibilità.

La primavera hitleriana è una poesia di speranza, di furiosa palingenesi («col respiro di un’alba che domani per tutti / si riaffacci, bianca ma senz’ali / di raccapriccio, ai greti arsi del sud...»), ma dietro alla sua evidente tensione religiosa si cela – come ha dimostrato Paolo De Caro – l’adesione cliziana al “frankismo”: la famiglia Brandeis (nella cui compagine figura persino Louis Brandeis, primo giudice ebreo della Corte suprema e consigliere di Roosevelt per le questioni ebraiche) era lontana discendente dell’eresiarca ebreo-polacco settecentesco Jakub Frank – si veda a questo proposito l’opus magnum di Olga Tokarczuk, I libri di Jakub (Bompiani), recensito su queste pagine da Massimo Onofri – che predicava l’avvento Dio in forma di donna e che riteneva si dovesse raggiungere la purificazione attraverso l’assoluta trasgressione, in modo da attirare la parusia di Cristo accelerando i tempi ultimi (in tal senso potrebbe essere letti i versi «Oh la piagata / primavera è pur festa se raggela / in morte questa morte!»).

Solo con tali tenebrose considerazioni prende corpo il simbolo di Clizia: non già una platonica rappresentazione del visiting angel, ma la trasmutazione poetica della stessa missione politica da cui Irma era stata investita: ancora De Caro in Ma se ritorni non sei tu e altri scritti montaliani (dedicato precipuamente alla lettura di Iride) ha messo in evidenza come gli spostamenti di Irma-Clizia nel ’38 – scrive Campeggiani – «tra Parigi e l’isola istriana di Lussinpiccolo sarebbero stati dettati dall’esigenza di collaborare alle operazioni filosioniste (in particolare per favorire l’emigrazione degli ebrei verso la Palestina)». Davvero la nuova Beatrice era tornata per salvare dal gorgo del male il suo popolo. E Montale. ​

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