giovedì 21 maggio 2015
​I tre crocifissi del grande scultore (anche quello dei Servi restaurato) a confronto: il «piatto forte» di una serie di esposizioni che la città dedica al genio della Basilica del Santo a Padova.
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Donatello Svelato. Capolavori a confronto è il “pezzo forte” di un progetto ampio Donatello e Padova che vede convergere insieme diverse realtà culturali, istituzioni pubbliche e religiose, dal Museo diocesano al complesso museale del Comune di Padova, dalla Basilica del Santo alle Soprintendenze che insieme hanno collaborato per evidenziare la presenza qualificata e qualificante di Donatello a Padova, rendendo la città uno dei centri di irradiazione del Rinascimento. Così accanto alla mostra proposta al Museo diocesano – aperta al pubblico fino al 26 luglio 2015, tutti i giorni (lunedì non festivi esclusi) dalle 10 alle 19, informazioni su www.museodiocesanopadova.it –, è stata inaugurata a fine marzo ai Musei Civici agli Eremitani e a Palazzo Zuckermann Donatello e la sua lezione. Sculture e oreficerie a Padova tra Quattro e Cinquecento, mentre subito dopo Pasqua in Basilica del Santo sono state proposte delle visite guidate alla scoperta del Donatello nascosto, avvicinando i gruppi scultorei che decorano il presbiterio. E altre esposizioni sono proposte all’oratorio San Rocco e al Museo Antoniano del Santo. 
Ha il sapore dell’evento atteso con il fiato trattenuto, tanta è la tensione emotiva che raccontano le immagini e gli slogan («Ci sorprenderà - Lo vedrete ») che la accompagnano. È la mostra Donatello Svelato. Capolavori a confronto,  inaugurata a fine marzo nel suggestivo Salone di Palazzo vescovile, promossa dal Museo e dall’Ufficio Beni culturali della Diocesi di Padova, a virtuoso – e decisamente apicale – completamento della precedente mostra sui Crocifissi del 2013 (L’uomo della croce. L’immagine scolpita prima e dopo Donatello). Allora il “grande assente”, pur evocato, era proprio Donatello. Ora eccolo protagonista di questa esposizione che vedrà tre suoi splendidi capolavori – gli unici Crocifissi a lui attribuiti – posti al centro della storia stessa della Chiesa di Padova, narrata dai volti dei pastori che da san Prosdocimo in poi l’hanno guidata e raffigurati nella teoria di ritratti che contornano il Salone dei Vescovi. Una scenografia privilegiata, un impatto emotivo assicurato per il visitatore che potrà osservare e gustare “da vicino” nella loro maestà questi manufatti, cogliendone le particolarità e i dettagli, ma anche il percorso artistico di quel Donatello che ha rinnovato la scultura portando l’umano a contatto con il divino, la veracità della vita con l’estetica. O, come sottolinea lo studioso Francesco Caglioti nel catalogo, «il protagonista più inventivo e inarrestabile dell’intera vicenda dell’arte italiana, il più capace non solo di rinnovarsi da un momento all’altro, ma anche di coltivare negli stessi giorni (magari sperimentandoli per primo) tecniche e generi molteplici». L’esposizione vede riuniti per la prima volta i tre crocifissi che lo scultore realizzò nella sua vita. Ci sarà il “primo”, quello ligneo di Santa Croce a Firenze (1408-1409) fortemente espressivo, con il volto carico di sofferenza, passato alla storia per la querelle con Brunelleschi che tacciò Donatello di aver «messo in croce un contadino». E ci sarà quello finora ritenuto il “secondo”, realizzato negli anni Quaranta del Quattrocento da Donatello per la Basilica del Santo a Padova, primo esemplare in metallo fuso e non sbalzato nella storia dell’arte italiana: un Cristo “morto”, il cui corpo conserva potenza atletica e la testa esibisce una bellezza classica.  Ma il vero protagonista è lo “svelato” terzo crocifisso, che secondo gli studiosi si colloca sì trent’anni dopo quello fiorentino, ma precedente, e forse quasi modello, a quello del Santo. Attribuito solo recentemente (nel 2008 dagli studiosi Francesco Caglioti e Marco Ruffini) allo scultore fiorentino e da cinque secoli conservato nella chiesa di Santa Maria dei Servi, è un crocifisso “miracoloso”, che nel 1512 sanguinò dal costato e dal volto. Quel prodigio adombrò la fama dell’autore, fino a che Ruffini rintracciò un’annotazione manoscritta su un esemplare delle Vite del Vasari conservato alla Yale University, in cui un anonimo appuntava: «Ha[Donatello] ancor fato il Crucifixo quale hora è in chiesa di Servi di Padoa ». Fu l’inizio dello svelamento, che si completa ora con l’esposizione di questo capolavoro ligneo dopo un lungo e accurato restauro, promosso dalla Soprintendenza per i beni storici, artistici ed etnoantropologici per le province di Venezia, Belluno, Padova e Treviso e dalla Direzione regionale per i bei culturali e paesaggistici del Veneto, integralmente finanziato dal ministero dei Beni, delle attività culturali e del turismo. Un restauro che ha visto un delicato lavoro di pulitura e di rimozione della patina bronzea che lo ricopriva, permettendo di ritrovare, come scrivono il direttore del Museo diocesano Andrea Nante e la soprintendente Marica Mercalli «la policromia originaria e di conseguire un sorprendente risultato, che ha aperto la strada a nuove considerazione sull’esecuzione dal parte di Donatello, o di un altro artista o suo collaboratore, della finitura pittorica del Cristo, il cui intaglio nel legno è di mano del maestro».  Il Crocifisso dei Servi è il vero protagonista di questa mostra, realizzato in legno di pioppo è per dimensioni il più grande dei tre capolavori e viene proposto nella sua nudità, appeso senza il supporto della croce, per permettere una visione a 360 gradi. «Scolpito con uno stile e una qualità che non si ritrovano in nessun altro manufatto ligneo quattrocentesco – scrive Caglioti – il Crocifisso ostenta uno slancio fisico, una sanità di carni, una sapienza e morbidezza di passaggi epidermici, che ammettono confronti solo con altri esempi memorabili del corpus donatelliano ». Meno “eroico” di quello della basilica del Santo, il Cristo dei Servi – si legge nella scheda – «è pulsante di vita, è un nudo che gareggia al tempo stesso con la natura e con i modelli dell’antichità classica. La policromia originale concorre, con delicate velature, alla tornitura dei volumi e aggiunge alle carni tumefatte e lacerate, ma pur sempre intatte e sode, un realismo quasi conturbante».
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