Calo dei lettori? Meno calcoli e maggiore qualità

E se anche nella cultura fossimo nella stessa situazione che viviamo con il mondo della politica, di graduale disamoramento? Se ci fossero libri validi, tornerebbero a esserci anche i lettori?
September 1, 2025
Calo dei lettori? Meno calcoli e maggiore qualità
Francesco Ungaro/unsplash | -
Non nelle sedi opportune, ma davanti a un fresco e informale bicchiere di birra, sciatta variante contemporanea degli antichi salotti dove un tempo si discuteva animatamente dei destini cui andava incontro il mondo culturale, qualche sera fa con un amico si discuteva – appunto – delle (non) progettualità future in ambito culturale di una città, Torino, la cui vocazione artistica e musicale, in questi ultimi anni, ha perduto non poco di interesse. Dopo aver tracciato con agile faciloneria la parabola del percorso di decadimento di questa, ci siamo poi intrattenuti su alcuni temi che hanno acceso non poco il dibattito della bolla, nelle ultime settimane. Da una parte un post Facebook della scrittrice Grazia Verasani in cui «lamenta il fatto che le presentazioni di libri sono uno sforzo notevole per chi scrive e per chi le organizza ma forse servono sempre meno», dall’altra un post critico nei confronti della scuola Holden in cui un’ex allieva si chiede se la frequentazione della scuola sia stata davvero utile ad apprendere le tecniche di scrittura o serva «invece a conferire uno status e a favorire delle relazioni sociali».
Il virgolettato nasce dal fatto che con questo amico ne abbiamo parlato a partire da una riflessione uscita su “Il Tascabile” a firma Christian Raimo, intitolata La polemica si risolve con la politica. L’articolo di Raimo apre alcuni spunti, individuando un nervo scoperto che ha a che fare con la sostenibilità dell’editoria, la formazione degli autori e il declino della lettura in Italia. Raimo infatti riporta anche alcuni dati: «Nelle prime 24 settimane del 2025 sono stati comprati due milioni netti di libri in meno, un calo di fatturato di 31 milioni: un dato che equivale al 5% di lettori persi, uno su venti. Le statistiche sul lettorato del 2024 ci davano già conto di una condizione rovinosa. L’Istat rilevava che solo il 40% legge almeno un libro l’anno. Altre statistiche – Eurostat – mostravano che l’Italia è il Paese in Europa dove si legge meno dopo Cipro e la Romania. La percentuale di chi legge almeno un libro l’anno, secondo Eurostat, è del 35%, a confronto di una media europea del 53%. Nel Nord Europa si arriva almeno al 70%, in Francia, Germania e Spagna siamo abbondantemente sopra il 50». Quello di Raimo è, in definitiva, anche un richiamo all’impegno civico ed educativo, ma per noi è pure motivo di frustrazione nel constatare una situazione così grigia, una diagnosi così nefasta. Capita poi che qualche settimana dopo questo pezzo di Raimo, sempre sul “Tascabile” ne esca un altro, in risposta, a firma di Stefano Jorio, intitolato Coscienza politica, letteratura e industria, come in un vero e proprio dibattito culturale a distanza d’altri tempi. Nella sua riflessione Jorio evidenzia con chiarezza ciò che considera una tensione nel ragionamento di Raimo: identificare troppo ciecamente la letteratura con l’industria editoriale, fino a parlare di filiera e crisi economica come se un calo nelle vendite fosse la misura ultima del valore culturale, quando invece «chi conosce le pratiche dell’industria editoriale – scrive Jorio – sa bene quanto poco abbiano a che fare con la letteratura: ci sono agenti che discutono preventivamente la trama con gli autori, redattori che premono per eliminare passi potenzialmente scoraggianti, amministratori delegati che approdando all’editoria dichiarano di voler mettere la propria esperienza al servizio della promozione del brand».
Il dibattito mette per cui in luce una sorta di inconciliabilità tra il mondo “aziendale” della scrittura, con storytelling pensati come prodotto («per un pubblico di massa»), e una visione più umanistica. Da qui la riflessione da bar con il mio amico: e se anche nel mondo della cultura fossimo nella stessa situazione che viviamo con il mondo della politica? Ovvero un graduale disamoramento che ha portato all’astensione dal voto perché “non ci sono valide alternative, mi turo il naso e voto Tizio, oppure Caio”? Quindi, il problema a questo punto sarebbe a monte, di «fiducia» nel prodotto: se ci fossero libri validi, tornerebbero a esserci anche i lettori? Domanda aperta. Non ci sono risposte giuste o sbagliate. Non c’è proprio possibilità di avere risposte, ma è importante sottolineare un aspetto, per non generalizzare con luoghi comuni. La verità è che i libri validi ci sarebbero anche, il problema semmai è che spesso forse tendono a perdersi nel marasma di titoli che escono ogni giorno, hanno vita breve, a volte brevissima, e qualche volta alle presentazioni di cui sopra magari arrivano già belli che trapassati. Insomma, che ci sia un calo di lettori in termini quantitativi (meno copie vendute, meno pubblico), e che questo calo si possa attribuire a una crisi multipla che comprende fattori vari quali il potere d’acquisto, il ruolo della scuola, i social, la concorrenza di un mondo altro in digitale, è un fatto. Che la qualità e la forza dell’offerta culturale vada rivista anche in termini di investimenti dall’alto è un altro fatto, perché se la cultura è assoggettata alla calcolatrice, allora sarà sempre prodotta al ribasso: «Il calo di vendite – scrive Jorio – indica una crisi di sovrapproduzione alla quale l’industria reagisce abbassando il prezzo della merce e contestualmente, se possibile, il costo della forza-lavoro necessaria a produrla». Nel dubbio continueremo a discuterne davanti a un bicchiere, che forse non risolverà la crisi in atto, ma aiuterà a mandar giù un po’ di amarezza.

© RIPRODUZIONE RISERVATA