sabato 19 novembre 2016
L’étoile della Scala si racconta, tra balletti e vita privata e lo fa anche in un docufilm “L’arte della danza”
Bolle ora danza anche al cinema
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Potrebbe essere che lunedì Roberto Bolle si presenti in un cinema di Milano, magari nascosto sotto un cappellino, “per vedere l’effetto che fa”. L’effetto che fa sul grande schermo L’arte della danza, il film che lo vede protagonista e che viene presentato domani in anteprima al Torino film festival. «Sarò in sala per la proiezione alla rassegna del capoluogo piemontese, ma mi piacerebbe vedere come reagisce il pubblico», racconta Bolle, étoile del Teatro alla Scala e principal dell’American ballet di New York. Tre giorni nelle sale, da lunedì a mercoledì, per la pellicola che Francesca Pedroni ha realizzato seguendo il tour estivo del Roberto Bolle and friends. «I passi a due che abbiamo portato sotto le stelle arrivano ora sul grande schermo - spiega il ballerino, classe 1975, piemontese di Trino Vercellese e cresciuto alla Scuola di ballo della Scala -. Vedrete alcuni luoghi tra i più belli e suggestivi che abbiamo in Italia abitati dalla danza: l’Arena di Verona, il Teatro Grande di Pompei e le Terme di Caracalla a Roma».

Bolle scusi, ma come le è venuto in mente di fare un film? La Scala e il Metropolitan non le bastano più?
«In realtà non ci pensavo nemmeno io… Ma nell’ultimo periodo si stanno realizzando progetti ai quali ho lavorato nel tempo e che non immaginavo di poter realizzare quando da ragazzino studiavo danza e sognavo di diventare un grande ballerino. A ottobre la tv con La mia danza libera che ha avuto risultati notevoli nella prima serata del sabato di Raiuno e abbiamo raggiunto quasi 4 milioni di telespettatori. Ora tocca al cinema. L’ho sempre frequentato da spettatore: sono cresciuto vedendo Michail Barysnikov in Due vite, una svolta e Il sole a mezzanotte. Mi sono emozionato con Billy Elliot, ho amato un film come Pina sul lavoro della Bausch. Ma mai avrei pensato di essere io dall’altra parte».


Cosa l’ha convinta a mettersi davanti alla cinepresa?
«La possibilità di fare qualcosa che vada oltre il palco per provare a portare la danza, un’arte a torto e per troppo tempo considerata elitaria, inaccessibile ai più».


Cosa vedremo sul grande schermo?
«Sudore e fatica, quelle che caratterizzano la danza, perché dietro la bellezza ci sono lavoro e impegno e spesso anche il dolore. Ci saranno tanti passi a due, la Carmen di Roland Petit, il Romeo e Giulietta di MacMillan, l’Opus 100 di Neumeier e il nostro Excelsior. E poi il dietro le quinte con le prove in palcoscenico, ma anche con i viaggi in pullman dove con i miei friends ci siamo divertiti come in gita scolastica».


Vedremo momenti di spettacolo e di vita privata...
«Mi piacerebbe che in sala arrivassero le emozioni che ho la fortuna di vivere quando danzo. Quando entro in scena all’Arena di Verona di fronte a 15mila persone mi sento come una pop star in uno stadio: ho cercato di catturare questa sensazione con la telecamera per restituirla sul grande schermo. Ho poi voluto raccontare in prima persona i miei pensieri sull’arte, sulla bellezza e sulla vita. Mi piaceva condividere questi pensieri e con la regista abbiamo pensato di affidarli proprio alla mia voce».

Lei fa molto uso dei social che cura personalmente e sui quali dice anche la sua su quello che succede nel mondo.
«Come sull’elezione di Donald Trump…- sorride - Che non ho molto apprezzato. Uso i social per far entrare il pubblico nel mio mondo, dietro le quinte dei teatri. I social tolgono confini e muri tra artisti e pubblico che oggi non hanno senso di esistere. Ogni tanto dico anche la mia sul mondo, lo faccio quando trovo giusto pronunciarmi su fatti che mi stanno particolarmente a cuore. Come personaggio pubblico penso di avere il dovere di esprimermi, aiutando, magari, il pubblico a riflettere. Uso i social quando voglio rilassarmi perché tutta la mia vita è occupata dalla danza. E anche quando non ballo organizzo i progetti futuri».

Oggi sulle fondazioni liriche pende un decreto del governo che minaccia di tagliarne alcune.
«Bisogna fare i conti con la realtà e con il periodo storico particolare come quello che stiamo vivendo. Lotto e mi spendo sempre in prima persona, in pubblico, ma anche in privato, quando ho modo di parlare con i politici, per dire quanto occorra dare un sostegno alla cultura. È importante per lo Stato investire nell’arte che è nutrimento spirituale, ma che può anche diventare risorsa economica di crescita per il paese se sfruttata al meglio. Alcuni passi giusti come l’Art bonus sono stati fatti, ma non basta, occorre fare di più, coinvolgendo i privati nel sostegno alla cultura».


Il Corpo di ballo della Scala sta passando un periodo di transizione. Come lo vive?
«Di cambi di direttori in questi anni ne ho visti molti. Ora la compagnia è affidata a Frederic Olivieri, che ci conosce bene e fa un ottimo lavoro. Penso che il teatro non debba avere fretta di trovare un successore di Bigonzetti, ma debba valutare bene il da farsi».

Pensa sia arrivato il momento di impegnarsi con i giovani e trasmettergli la sua esperienza?
«Ci ho pensato spesso. Certo, richiede impegno e tempo, ma soprattutto necessita di strutture dove accogliere e formare i ragazzi. Per ora, ogni volta che ho la possibilità, mi piace aiutare i giovani colleghi dando loro consigli e cercando di indirizzarli su una strada che so di essere giusta perché prima l’ho percorsa io. Perché non basta ballare bene, occorre l’intelligenza di saper fare le scelte giuste anche se impopolari: i no che ho detto sono stato ripagati nel tempo dai successi».
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