mercoledì 4 gennaio 2017
Cinquant’anni fa la costituzione dello stato secessionista nel sud-est della Nigeria a opera del popolo Igbo e di altri gruppi etnici. Durerà meno di tre anni, represso dal governo di Lagos
Biafra il sole giallo non si spegne
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Chi si ricorda del Biafra? Non molti, ma sembra che la questione sia destinata a tornare d’attualità. Un ulteriore stimolo potrebbe venire dal cinquantenario di questa tragedia africana, che cade nel 2017. Primavera 1967: l’Europa si prepara a vivere il Sessantotto e l’invasione sovietica di Praga. Il 30 maggio un territorio sudorientale della Nigeria dichiara la secessione dando vita alla repubblica del Biafra. Grande quanto la Serbia, il nuovo stato corrisponde alla Regione Orientale ( Eastern Region) ed è abitato da vari popoli: Ibibio, Igbo, Ogoni...

Gli Igbo, che costituiscono la maggioranza, occupano un ruolo di primo piano. La bandiera del Biafra ha tre strisce orizzontali (rosso, verde, nero), al centro delle quali spicca un sole giallo che simboleggia la nuova repubblica. Sostenuto da vari paesi stranieri (Gran Bretagna, Urss e Stati Uniti), il governo di Lagos scatena una guerra che sfocia in un genocidio. Uno dei suoi maggiori responsabili è il governo britannico, guidato dal socialista Harold Wilson, che si dichiara disposto ad accettare «la morte di mezzo milione di biafrani, se necessario ». Purtroppo il bilancio finale sarà ancora più tragico: oltre un milione di morti. Alla guerra si aggiunge la carestia creata per piegare i secessionisti. La stampa italiana e straniera diffonde le foto di bambini biafrani con la pancia gonfia per avitaminosi. Le immagini di persone consumate dalla fame non si sono più viste dai tempi della Shoah. Alla fine del 1968 l’American Jewish Congress, la principale organizzazione ebraica statunitense, diffonde un rapporto intitolato The tragedy of Biafra. Il documento analizza dettagliatamente la guerra in atto e si chiede se sia possibile parlare di genocidio.

Non prende posizione su questo problema, ma cita il parere di due parlamentari canadesi che hanno visitato il paese africano: «Chiunque affermi che non si possa parlare di genocidio è al soldo della Gran Bretagna o è un pazzo». La guerra del Biafra è il primo conflitto che la televisione documenta in tempo reale. Fra le tante iniziative umanitarie spicca quella di due studenti tedeschi, Tilman Zülch e Klaus Gürke, che fondano l’associazione Aktion Biafrahilfe. Da questa nascerà poi la Gesellschaft für bedrohte Völker, una delle più importanti associazioni per la difesa delle minoranze. In Francia, invece, un gruppo di medici guidati da Bernard Kouchner dà vita a Médecins sans Frontières. Il sogno dei separatisti tramonta il 15 gennaio 1970, quando il Biafra si arrende e la regione viene ufficialmente reintegrata nella Nigeria.

Nel frattempo il generale Ojukwu, capo dei separatisti, è già fuggito in Costa d’Avorio. La figura principale della breve stagione biafrana torna in patria soltanto nel 1982, grazie all’amnistia concessa dal presidente Shehu Aliyu Usman Shagari. Ojukwu riprende l’attività politica e fonda un partito, ma senza ottenere grande successo. Dimenticata per lungo tempo, alla fine degli anni Novanta la questione biafrana ricomincia a sti- molare un certo interesse, prima in sordina, poi in maniera sempre più marcata. Nel 1999 un gruppo di igbo fonda il Movement for the Actualization of the Sovereign State of Biafra (Massob). Guidato da Ralph Uwazurike, il nuovo movimento reclama apertamente la costituzione di uno stato biafrano. In tale contesto, ovviamente, il riferimento alla tragica esperienza della guerra civile assume un rilievo centrale. Ovviamente il Massob fa costante riferimento al genocidio per guadagnare consensi. La mobilitazione della memoria diventa così uno strumento essenziale in questa nuova lotta per la creazione di un nuovo stato. Altrettanto importante è il contatto con la vecchia generazione, quella che ha fatto la guerra.

Nel 2001, quando viene inaugurata la Biafra House di Washington, Ojukwu affianca i responsabili del Massob come ospite d’onore. Durante gli anni successivi le iniziative si intensificano, sia a livello politico che accademico. Dal 2003 al 2010 si tengono varie conferenze sulla questione biafrana, alle quali partecipano studiosi e attivisti. Nel 2005, in alcune città europee e africane, migliaia di esuli nigeriani manifestano a favore dell’indipendenza del Biafra. L’azione politica del Massob, comunque, rimane strettamente legata alla situazione nigeriana. Negli ultimi anni gli Igbo, come altri popoli della federazione, hanno sofferto la persecuzione feroce di Boko Haram, la setta islamica che terrorizza tuttora il paese.

Ebere Ubani, capo della comunità igbo dello stato di Lagos, ha esortato il governo a intervenire per evitare che la situazione degenerasse in un altro genocidio. Il 26 novembre 2011 Chukwuemeka Ojukwu, leader della breve repubblica biafrana, muore a Londra dopo una lunga malattia. Aveva 78 anni. La folla oceanica presente al suo funerale conferma che le sue idee sono ancora vive. Se è vero che la questione del Biafra si riaffaccia, è altrettanto vero che questo avviene in un contesto profondamente diverso da quello originario. Nel 1967 la creazione di un nuovo stato era l’obiettivo dei vari gruppi etnici che abitavano la regione, mentre oggi tale obiettivo rimane sostanzialmente limitato agli Igbo. Tanto è vero che il Massob utilizza il termine Igboland come sinomino di Biafra.

La questione, comunque, sta suscitando un’attenzione che supera i confini locali: la causa biafrana non è più una delle tante questioni territoriali che agitano il continente africano, ma sta ormai guadagnando un rilievo internazionale. Negli ultimi anni, infatti, ha ottenuto il sostegno di alcuni parlamentari, prima fra tutti Angela Rayner, ministro-ombra del Lavoro dell’opposizione laburista britannica. La giovane parlamentare inglese ha sostenuto pubblicamente Nnamdi Kanu, un igbo che vive da molti anni a Londra, fondatore dell’emittente Radio Biafra e dell’organizzazione separatista Ipob (Indigenous peoples of Biafra). Kanu, arrestato dalle autorità nigeriane nell’ottobre del 2015, era stato processato con l’accusa di «cospirazione criminale e appartenenza a un’organizzazione illegale». Alla fine dell’anno, grazie anche all’intervento di Angela Reyner, è stato rilasciato su cauzione. Ma il vero successo dell’Ipob è arrivato quando l’Onu l’ha accettata nell’Ecosoc, l’organismo che raccoglie le Ong.

In questo modo la questione biafrana si è aggiunta alle numerose rivendicazioni separatiste che chiedono l’intervento delle Nazioni Unite. Negli ultimi mesi gli scontri fra i separatisti biafrani e l’esercito nigeriano si sono fatti più frequenti e più sanguinosi. Il 30 maggio, anniversario dell’indipendenza proclamata nel 1967, in varie città della Nigeria sudorientale sono stati uccisi almeno un centinaio di manifestanti. Amnesty International ha accusato l’esercito di aver ucciso 17 persone disarmate nella città di Onitsha. Federica Mogherini, alto rappresentante dell’Ue per gli Affari esteri, ha affermato che l’Europa è pronta a riconoscere l’indipendenza del Biafra, ma soltanto a patto che questa sia sancita da un referendum.

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