LETTERA/1 Dai famigliari delle vittime dell’eccidio delle Fosse Ardeatine nuove contestazioni sull’invito a costituirsi rivolto dai nazisti ai partigiani dopo l’attentato.
Negli ultimi tempi la condizione di parente di un martire della Resistenza è diventata più problematica. Dal dopoguerra in poi il dolore, lo sdegno, la sensazione impotente di un’atroce ingiustizia subita sono stati affrontati grazie ad una sorta di risarcimento costituito da manifestazioni collettive di vicinanza e gratitudine e dal riconoscimento di un giudizio storico condiviso. In questi anni siamo cresciuti con una certezza incrollabile: da una parte le vittime, dall’altra gli aguzzini. Non sembra pensarla così Paolo Simoncelli che ha scritto su Avvenire due articoli in cui, ricordando la vicenda dell’attentato di via Rasella del 23 marzo del ’44 e il successivo eccidio delle Fosse Ardeatine, riprende l’odiosa tesi di una presunta responsabilità dei partigiani nell’eccidio. Nell’articolo l’autore fa riferimento a un nostro congiunto, il maggiore Antonio Ayroldi, trucidato alle Fosse Ardeatine. Simoncelli costruisce il suo articolo, utilizzando un memoriale inedito di un medico, Vittorio Claudi, morto tre anni fa; in questo documento Claudi ricostruisce le circostanze che gli consentirono di conoscere nostro zio, Antonio Ayroldi, figura di rilievo in quelle settimane della Resistenza romana. Vengono riportati ampi stralci del memoriale di Claudi ed emerge la traccia forte di valori in disuso: la famiglia Claudi e nostro zio sfidavano le truppe naziste che presidiavano la città mettendo sul piatto passione civile, coraggio, patriottismo. Poi, improvvisamente, si interrompe il ricordo di quegli uomini, di quei luoghi e di quel clima nel quale prendeva corpo una forte e liberatoria coscienza antifascista e si scopre il vero intento del suo articolo: nel memoriale di Claudi vi è la prova che appesantirebbe la responsabilità dei partigiani nell’eccidio delle Fosse Ardeatine. La rivelazione consisterebbe nel riferimento che fa Claudi nel suo memoriale ad un suo personale ricordo di un manifesto affisso dai nazisti, all’indomani dell’attentato di via Rasella, in cui si dichiarava che se i responsabili dell’attentato si fossero costituiti non sarebbe stata applicata la disposizione secondo la quale per ogni tedesco morto sarebbero stati giustiziati dieci italiani. Ma que- sta è la riproposizione di un consunto schema secondo cui i partigiani autori dell’attentato, con il loro silenzio, si sarebbero rivelati dei codardi mandando a morte 335 italiani incolpevoli.A questo punto si richiede una ricostruzione per punti: 1) il dottor Claudi riporta il ricordo di quel manifesto in assoluta buona fede, senza alcuna intenzione di colpevolizzare i partigiani; 2) il manifesto con l’invito agli attentatori di costituirsi, se mai fu stampato (le testimonianze sono molto contraddittorie in merito alla reale esistenza del manifesto), fu affisso quando l’eccidio delle Fosse Ardeatine era già stato consumato (infatti l’attentato avvenne nel pomeriggio del 23 marzo e l’esecuzione delle 335 vittime fu eseguita in tutta segretezza il giorno successivo) e, quindi, avrebbe avuto soltanto il senso di un ulteriore infame inganno da parte dei nazifascisti; 3) quello che non si potrà mai arrivare a comprendere è che la faccenda del manifesto, comunque, non modifica in alcun modo la verità delle cose; come non capire che, posto anche che si fossero create le condizioni, l’eventuale scelta dei partigiani di costituirsi avrebbe rappresentato la rinuncia di un popolo a difendere il proprio territorio dal nemico invasore? Come insinuare una corresponsabilità dei partigiani, quando la loro resa avrebbe comportato la legittimazione della barbara, infame, rivoltante posizione dei nazisti che sanciva perentoriamente che per ogni soldato tedesco morto sarebbero stati giustiziati dieci civili italiani?
Antonella, Emira, Isabella, Massimo, Ornella e Vito, nipoti del maggiore Antonio Ayroldi
LA REPLICA - È segno di rispetto versochi combatté per la libertànon aver paura della verità
Abbiamo iniziato il nostro articolo ricordando come "Fosse Ardeatine" siano "due parole sacre" per ogni italiano; e lo abbiamo dedicato quasi tutto al maggiore Antonio Ayroldi ricordandone il coraggio e l’eroismo (e ce lo attribuiamo a merito esplicito, dato che il suo profilo è stato dimenticato, ad esempio, dal Dizionario biografico degli italiani che pure ha dedicato voci ad altri esponenti della resistenza romana, poi fucilati alle Fosse Ardeatine, come Pilo Albertelli). Abbiamo doverosamente riportato (in una sola frase) la testimonianza scritta di chi, Vittorio Claudi, aveva nascosto ebrei e partigiani e che ricordava "perfettamente" quel manifesto con l’invito ai responsabili dell’attentato di via Rasella a costituirsi; manifesto che, a quanto pare, non è stato ricordato solo da Claudi (vedi su
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del 19 marzo la testimonianza analoga di un illustre docente dell’Università di Padova, allievo romano di Santoro Passarelli in quegli anni drammatici); abbiamo escluso le testimonianze politicamente ed emotivamente sospette che già da anni denunciavano l’esistenza di quel manifesto. E quando – nel merito – ci si obietta che potrebbe essere stato diabolicamente affisso dopo la rappresaglia delle Ardeatine, ebbene, avremmo l’ennesima prova comunque dell’esistenza e affissione del manifesto. Perché dunque per decenni ne è stata graniticamente negata l’esistenza? Diverso il discorso sulla sua efficacia (fu visto in tempo? Sarebbe valso ad evitare la rappresaglia se i gappisti si fossero consegnati?), oltre che sulla drammatica scelta tra un dovere morale di consegnarsi o di continuare la lotta armata mandando a morire oltre trecento ostaggi ecc. Ma continuare a negare, anche in affanno, qualsiasi ipotesi di esistenza e affissione di questo manifesto, non giova; anzi, dinanzi alle prime voci e testimonianze contrarie, quella negazione ha dato la stura ad ogni sospetto, anche fantasioso, e provocato reazioni vieppiù irritate e irragionevoli. Così come non giova arroccarsi dinanzi a documentazione nuova (da considerare sempre con cautela, come del resto abbiamo esplicitamente detto) che certo non può spostare valori e ideali, ma magari aiutare a vedere meglio e, presuntuosamente, a sapere qualcosa di più, come nel caso proprio del maggiore Ayroldi. Francamente dispiace, anche se non stupisce, che un radicato pregiudizio ideologico impedisca di comprendere che parliamo la stessa lingua; non ce ne sentiamo responsabili.
Paolo Simoncelli
LA LETTERA/2 Teresa Bentivegna: «Quel manifesto ci fu: chi lo nega mente, e lo sa»
Ho seguito con molto interesse su
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gli articoli su via Rasella e sul manifesto contestato (c’è stato, non c’è stato) e il documento lasciato dal dottor Vittorio Claudi, che ne ricorda l’affissione in piazza Verdi, e gradirei che il suo giornale mi desse la possibilità di dare il mio modesto contributo alla verità su quella tragica pagina della nostra storia. Sono Teresa Aguglia Bentivegna [seconda cugina di Rosario Bentivegna,
ndr
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] e al tempo dell’attentato ero solo una bimbetta di tre anni, per cui non posso e non ho infatti alcun ricordo dell’accaduto. Ma, crescendo, ho da sempre sentito raccontare dai miei, con pena sofferta, il racconto dell’attentato e l’eccidio tedesco che ne seguì come rappresaglia. Dico con pena sofferta da parte dei miei, perché il nome dell’attentatore è sempre stato noto alla mia famiglia (allora residente in Sicilia), così come era da sempre noto che il comando tedesco lanciò un ultimatum, tramite manifesti, affinché l’esecutore, o gli esecutori, si presentassero. In caso contrario sarebbero stati fucilati dieci italiani per ogni soldato tedesco morto. Nessuno si presentò, e 320 italiani innocenti pagarono per quella bomba esplosa al passaggio dei soldati del battaglione Bozen che attraversavano via Rasella. L’autore dell’attentato per quel gesto fu insignito di diverse onorificenze, e qualche anno fa la Cassazione ha classificato il suo gesto come missione (o atto) di guerra. A mio parere, il documento del dottor Claudi non fa altro che convalidare ulteriormente una verità che moltissimi hanno sempre saputo. Chi ha negato in tutti questi anni l’esistenza di quel manifesto, evidentemente lo ha sempre fatto in perfetta malafede, mentendo e sapendo di mentire.
Teresa Aguglia Bentivegna, Roma
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