Tutte le lingue di Carlo Michelstaedter
Un’antologia “alternativa” propone tradotte in quindici idiomi diversi le poesie dello scrittore e intellettuale goriziano che fu poliglotta prima di tutto nel pensieroe nello spirito

Tocca alla Antologia poetica multilingue: 15 poesie in 12 lingue di Carlo Michelstaedter il ruolo altamente simbolico di aprire oggi pomeriggio il festival èStoria, da 21 anni fiore all’occhiello della vita culturale goriziana. E non poteva essere altrimenti: nell’anno speciale di Nova Gorica/Gorizia Capitale europea della Cultura 2025, la prima a essere transfrontaliera, unita dal confine tra italo-sloveno, solo un genio “sconfinante” come Michelstaedter poteva riassumere in sé non solo l’antico spirito multiculturale di Gorizia, da secoli snodo nevralgico tra le tre culture fondative d’Europa (latina, tedesca, slava), ma anche ciò che resta di mitteleuropeo nella città in cui tuttora si parlano quattro lingue.
Un’antologia «alternativa» la definiscono le tre curatrici, la poetessa ebraico-croata Suzana Glavaš, docente di croato e serbo all’università Orientale di Napoli, Elena Guerra, esegeta di Michelstaedter, e Antonella Gallarotti, per decenni responsabile del fondo che conserva l’opera omnia dell’artista alla Biblioteca Statale Isontina. Alternativa perché propone le quindici poesie prima nell’originale italiano, poi tradotte in tedesco, ungherese, sloveno, latino, greco antico, croato, ebraico, friulano, francese, inglese, albanese, altamurano, le lingue che in diversi modi hanno fatto parte del vissuto del filosofo/scrittore/poeta/disegnatore morto suicida a soli 23 anni nel 1910. Se non bastasse, l’antologia (edita da Mimesis, pagine 260, euro 22,00) attraverso un QR code dà accesso alle stesse poesie lette nelle varie lingue dai loro traduttori, senza la presunzione di essere da tutti comprese ma di «riprodurre l’eco originale dei suoi versi con somiglianze armoniche di suoni e tonalità nelle lingue straniere prescelte», spiega Glavaš. Praticamente musica, più che traduzione. E infatti di “partitura scritta e vocale” parla in copertina il sottotitolo.
Perché tutto questo non appaia però un esperimento bizzarro ma il progetto più aderente a una Capitale della cultura e a un festival poliedrico come èStoria, è bene ripercorrere la figura di Carlo Raimondo Michelstaedter. «Nasce nel 1887 nella Gorizia ancora austroungarica da una colta e agiata famiglia di origini ebraiche», spiega Elena Guerra, «suo padre Alberto, dirigente delle Assicurazioni Generali, ha un forte ascendente sulla formazione di Carlo, non solo in quanto autore letterario e lettore a tutto campo, ma anche per l’approccio molto laico, nonostante formalmente rispetti le usanze ebraiche». Il giovane Carlo ebbe una severa formazione asburgica allo Staadtsgymnasium di Gorizia, fucina di intellettuali straordinari, e lì entrò in contatto con la filosofia attraverso le traduzioni dal greco e dal latino, ponendo i presupposti della sua stessa produzione. «Con gli amici del cuore, Enrico Mreule e Nino Paternolli, discuteva ardentemente i testi di Schopenhauer, dei tragici greci, di Platone, ma anche la Bibbia, i Vangeli, i libri sacri induisti», continua la studiosa, «e poi i letterati a lui spiritualmente vicini, come Leopardi, Petrarca, Tolstoj e il suo amato Ibsen». Il travaglio “leopardiano” che percorre l’animo del giovanissimo intellettuale lo insegue anche negli anni dell’università a Firenze, non gli dà tregua: sempre alla ricerca di un senso e di un altrove, Carlo esplora tutti i linguaggi, dalla poesia alla pittura alla filosofia tutto è un mezzo per indagare la natura dell’uomo e il suo destino, ma più illumina la realtà e più questa gli sfugge, «come chi vuol veder sul muro l’ombra del proprio profilo, e in ciò appunto la distrugge», scrive nel Dialogo sulla salute.
Nella sua breve vita compone in modo quasi ossessivo, il suo sconfinato epistolario esprime gli alti e i bassi di un animo spesso gioioso e innamorato (»Salve, o vita! potenza misteriosa, fiume selvaggio – esclama nel 1905 nella poesia Alba. Il canto del gallo –… E ribollir ti sento nel mio sangue mentre il sole m’illumina la faccia e dalle labbra mi prorompe il grido: viva la vita!»), ma anche attratto dalla morte (»Noi col filo / col filo della vita / nostra sorte filammo a questa morte», scrive nel Canto delle crisalidi). Intanto schizza ritratti e splendidi disegni, compone dialoghi filosofici, da poliglotta aspira a tradurre Il mondo come volontà e rappresentazione di Schopenhauer ma Benedetto Croce, cui ha inviato una lettera di proposta in tal senso, non gli risponde. Si innamora più volte, ma nessuna relazione è durevole e appagante, eppure Michelstaedter resta «assetato del bello in tutte le sue emanazioni e affascinato dal creato», afferma Glavaš.
Appassionato sportivo, tra scalate in montagna, scherma, tennis, vela e nuoto, è lettore onnivoro, ama perdutamente Beethoven, e soprattutto «agli inizi del Novecento scrive e pensa in greco, come se Eschilo, Parmenide e Aristotele fossero i suoi contemporanei!». Insomma, «la sua è l’opera incompiuta e aperta di un talento irriducibile e inclassificabile». Inclassificabile come il senso religioso che permea il suo sguardo nonostante l’assenza di un credo, e la magnanimità (nel significato dantesco di un’anima grande) travagliata però da una realtà troppo angusta per contenerla.
Il progetto dell’antologia multilingue nasce da ICM, l’Istituto per gli Incontri Culturali Mitteleuropei, fondato nel 1966 e da allora perseverante nel tutelare attraverso collaboratori internazionali di altissima competenza la vocazione universale di Gorizia e del suo territorio: «L’idea del libro mi è venuta – racconta Suzana Glavaš – pensando che con l’opera poetica di Carlo Michelstaedter l’ICM avrebbe coronato in Gorizia25 il suo storico ruolo di promotore culturale d’avanguardia, come fece nel 1966 in presenza dell’ormai anziano Giuseppe Ungaretti», quando l’Istituto seppe abbattere la Cortina di ferro richiamando a Gorizia 70 poeti di nazioni tra loro “nemiche”, Jugoslavia compresa (allora Gorizia e Nova Gorica erano divise da un reticolato invalicabile, il famigerato “Muro” abbattuto solo nel 2004). L’impossibile diventava possibile grazie alla lungimiranza di una generazione di giovani cattolici, che con ICM osavano anticipare i tempi attuando un embrione di quella che oggi è l’Europa unita.
Sessanta anni dopo, l’Istituto per gli Incontri mitteleuropei non ha smesso di osare, e con Michelstaedter ripropone oggi il più potente simbolo di un territorio che ha fatto della convivenza la sua cifra e della risoluzione dei conflitti il suo talento (per secoli i diplomatici delle corti d’Europa venivano da Gorizia, non solo per la conoscenza delle lingue, ma perché se in famiglia convivono più etnie a mediare si impara dalla nascita). L’italiano parlato a casa Michelstaedter e il tedesco usato allo Staadtgymnasium erano per lui le madrelingue, l’ebraico, il greco e il latino li apprendeva a scuola e in famiglia, il friulano e lo sloveno nel tessuto sociale, e poi il francese, l’inglese… E il melting pot che il filosofo incarna è già evidente nel suo nome, quasi un ossimoro tra l’italianissimo Carlo Raimondo e il germanico Michelstaedter, tra l’altro scritto “Michlstädter” nel registro delle nascite della comunità ebraica di Görz/Gorizia, o Michelstatter come si firma lui, o Michelstädter com’è inciso sulla tomba al cimitero ebraico, che alla sua morte era asburgico, poi italiano, poi jugoslavo, oggi sloveno. Accesamente italiano, addirittura irredentista, era però cittadino del mondo e questo è il suo messaggio più attuale, la risposta a guerre e razzismi.
Con un colpo di pistola mise fine alla sua vita a 23 anni, dopo aver disegnato sul frontespizio della tesi di laurea una lampada a olio e la scritta in greco Apesbésthen, “io mi spensi”. Era il 17 ottobre 1910, non vedrà mai sua madre Emma Luzzatto e sua sorella Elda deportate dai nazisti il 7 dicembre 1943 sullo stesso convoglio numero 21T, giunto ad Auschwitz l’11 dicembre. La madre morì quel giorno stesso, Elda un anno dopo. Prima della cattura, la famiglia Michelstaedter mise in salvo la biblioteca: tesoro di sapienza, antidoto alla notte dell’umanità.
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