Italo Calvino, la serietà della leggerezza

Riservato, assorto e silenzioso: i segreti di un uomo che «voleva essere solo una mano che scrive. A quarant’anni dalla morte è inevitabile fare i conti con le sue opere che hanno segnato il '900
September 17, 2025
Italo Calvino, la serietà della leggerezza
Johan Brun / Digitalt Museum | Italo Calvino (1923-1985), narratore tra i più significativi del Novecento
19 settembre 1985-19 settembre 2025: quarant’anni sono ormai trascorsi dalla morte di Italo Calvino, e i numerosi libri usciti in questo periodo, anche in occasione della ricorrenza, testimoniano di una vitalità, ora celebrata, ora criticata, ma sicura, inevitabile. Da una parte è un punto acquisito della critica che quelle di Calvino siano “scritture”, plurali, molteplici, “dai destini incrociati”, come si evince fin dal titolo del volume collettaneo Una possibilità indefinita del discorso. Le scritture di Italo Calvino, edito da Sellerio (pp. 256, euro 20), a cura di Roberto Deidier. Le forme varie, «le visioni plurime, le aporie, le brusche inversioni di marcia» nel suo percorso letterario aprono, foucaultianamente, «una possibilità indefinita del discorso», in una sperimentazione incessante, tra forma, parola, etica, godibilità narrativa e costanza autoriale. Le fasi cangianti e come ariostesche dell’avventura letteraria calviniana – ad es. la realista/neorealista, quella fantastico-fiabesca, quella cosmicomico-scientifica, quella combinatoria e metanarrativa – sono anche una lotta inquieta, seria e “leggera” insieme con il Proteo della modernità. Insomma «l’affaire Calvino» è ineludibile: per questo bisogna confrontarsi con la sua opera e con quanto ha significato nel secondo Novecento, poco importa se lo si consideri un classico, «un padre padrone della letteratura» o uno scrittore di cui si criticano «l’eccessiva cerebralità, l’occultamento dell’io, la calcolata inafferrabilità, dietro al parossismo del gioco letterario». Così Domenico Calcaterra che, nel suo libello Il sistema Calvino. Saggi, ritratti, interferenze (Inscibolleth Edizioni, pp. 112, euro 14), prende sul serio la sfida ermeneutica e attraversa il polimorfismo e la poliedricità di Calvino, cercando appunto un “sistema”, un ordito che torna, per scoprire che il « calvinismo » ha delle sue costanti: «la predilezione della misura breve (e della fiaba come congegno perfetto); il delinearsi della narrazione sempre più come ragionamento; la necessità d’una regola che sappia innescare il processo immaginativo ». Il che significa, «testi alla mano, la continuità tra il Calvino degli esordi e quello cosmicomico e combinatorio». Potremmo pensare a Sciascia per il quale «tutti i miei libri in effetti ne fanno uno», oppure proprio alla riflessione calviniana per cui «il primo libro già ti definisce e questa definizione dopo dovrai portartela dietro per la vita, cercando di darne conferma o approfondimento o correzione o smentita, ma mai più riuscendo a prescinderne». E quindi ecco riscrittura e mutazione, conferma e trasformazione continua, ma in una lotta meno apollinea e cerebrale di quel che si creda. « Forse gioverebbe abbandonare una volta per tutte l’idea di un Calvino abitatore di un dorato olimpo di raffinate astrazioni, e prendere sul serio l’ossessione di chi rassicura il lettore mentre patisce l’impossibilità di stringere una solida presa sul reale. Squarciare il velo, insomma, di tanta fraintesa leggerezza e mettere meglio a fuoco il Calvino della nevrosi, dello spavento della vita». Insomma: « metodo e nevrosi… continuità e coerenza in progresso… leggerezza e ferita». In questo senso, per Calcaterra, vanno anche disinnescate le antitesi tipo Pasolini vs Calvino (Carla Benedetti) o Volponi, «l’anti-Calvino della narrativa italiana» (Berardinelli). Le cose sono molto più articolate. In questa direzione, pur nella gran diversità, Italo di Ernesto Ferrero, approdato ora all’edizione tascabile (Einaudi, € 13, 2025, pp. 240), che scrive: «da anni il marchio Calvino è diventato sinonimo di leggerezza, e quando di leggerezza si parla è d’obbligo citarlo, ma sin dal 1998 Alberto Arbasino ci ha avvisato che si tratta di un “pesante equivoco”: “Italo Calvino non era affatto leggero. Era molto serio, laborioso, parsimonioso, industrioso, assorto, concentrato, moderato, indaffarato, calcolatore, misuratore”». Ferrero, che ben conosceva Calvino avendo lavorato con lui per anni come collega einaudiano e come amico, costruisce un libro affascinante, che non è una biografia sistematica, né un monografia critica in senso stretto, ma piuttosto una memoria discreta e mista, punteggiata da osservazioni sulla sua opera. Il privato si mescola con il pubblico, l’uomo con lo scrittore: vediamo le stanze editoriali dell’Einaudi, i rapporti con i colleghi, le abitudini silenziose di chi « voleva essere soltanto una mano che scrive», perché la letteratura vale più della persona che la produce. La discrezione emerge come cifra costante: « Non troverete nulla », rispondeva a chi cercava dettagli della sua vita privata. Per Ferrero questa non è tanto la cifra dell’intellettuale algido, chiuso nella sua poetica combinatoria, ma quasi uno «stoicismo minimalista», forse lo stesso atteggiamento che Calvino proiettava in alcuni suoi romanzi: si pensi al Cavaliere inesistente, dove l’autore «tende a farsi vedere il meno possibile» e sembra affidare al suo personaggio privo di corpo una sorta di autoritratto morale. « È nemico di ogni eccesso non per prudenza o ignavia, ma perché detesta le false sicurezze, la retorica delle ideologie, l’esibizionismo nascosto nelle certezze. Perché è e resta un uomo di scienza. Dice quel che ha da dire evitando di dare spettacolo delle proprie delusioni e angosce. Non concede nulla all’Io per potersi dedicare al Noi». Segnaliamo infine il prezioso volume Italo Calvino, Scritti su Pavese (Mondadori, € 14.50, 2025, pp. 252), che raccoglie «quindici “scritti su Pavese” composti tra il 1946 e il 1972: progetto ben presente tra le carte inedite dell’autore, pur se mai completato. Il libro arricchisce la fisionomia del Calvino critico, e insieme dice la fedeltà ad un maestro: «Quando morì mi pareva che non sarei più stato buono a scrivere, senza il punto di riferimento di quel lettore ideale». Anche qui il Calvino uomo e lo scrittore si danno la mano.

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