Il cardinale Mindszenty: l'anima ferita dell'Ungheria

Moriva 50 anni fa il cardinale simbolo delle persecuzioni subite dai cattolici magiari sotto nazismo e comunismo. Francesco lo ha dichiarato venerabile
May 5, 2025
Anche se avevo sperimentato l’orrore dell’odio, anche se avevo imparato a conoscere la faccia del diavolo, proprio il carcere mi insegnò a fare dell’amore il principio direttivo della vita». Imprigionato più volte, torturato, bastonato a sangue, sottoposto a umiliazioni dai comunisti e dai nazisti che occuparono la sua terra, il cardinale ungherese József Mindszenty, di cui si ricordano oggi i cinquant’anni dalla scomparsa, proclamato venerabile da papa Francesco nel 2019, è a un passo dalla beatificazione. «Voglio essere un buon pastore, pronto a dare la vita per i suo gregge», dichiarò quando era un giovane sacerdote. E così è stato. Figlio di contadini (il padre era proprietario di una fattoria con dieci ettari di terreno) e terzo di sei fratelli, József Pehm nacque il 29 marzo del 1892 nel piccolo villaggio di Csehimindszent, nella regione magiara di Vas, al confine con l’Austria e la Slovenia. Volle cambiare il cognome come risposta al progetto di germanizzazione imposto dagli asburgici e prese quindi quello della località di nascita declinandolo al genitivo. Il primo suo arresto risale al 9 febbraio del 1919, il quinto anno della Grande Guerra: era viceparroco a Zalaegerszeg, insegnava religione nel locale ginnasio e sosteneva dalle colonne di un giornale cattolico il Partito Cristiano che si opponeva al nuovo governo guidato da Mihály Kàrolyi, detto “il conte rosso”. Era di ritorno da una commissione fuori città quando gli si presentarono davanti due poliziotti: « Lei è un nemico della nazione, un sovversivo, abbiamo un mandato di cattura nei suoi confronti». Rischiava fino a quindici anni di galera ma venne internato in regime di domicilio coatto nel palazzo episcopale dove rimase anche dopo il passaggio del potere al comunista Béla Kun av-venuto nel frattempo con una rivolta popolare che instaurò nel Paese una dittatura ancora più feroce. « Il cane era lo stesso, solo il collare era diventato un po’ più rosso», commentò in seguito Mindszenty. Ma poi, vista la sua ostinazione a non collaborare con gli aguzzini, il presbitero finì in una vera prigione insieme ad altri religiosi, a professionisti che si erano opposti al regime e al superiore dei cistercensi Guido Maurer. Riuscì a salvarsi da un trasferimento a Budapest dove, nei sotterranei del Palazzo del Parlamento, avvenivano le esecuzioni sommarie degli oppositori. Venne liberato il 15 maggio dello stesso anno, con l’obbligo di non entrare più a scuola e di non avere contatti con elementi ostili allo Stato e, soprattutto, gli vietarono di predicare in pubblico. Tre mesi dopo, con la caduta della tirannia filo-bolscevica, divenne parroco e riprese l’attività sociale, di insegnamento e caritativa. Fu nominato vescovo di Veszprém da Pio XII, il 4 marzo del 1944 a 52 anni. Ma la Wermacht invase l’Ungheria con un blitz (l’“Operazione Margarethe”) e lui, stavolta sotto il dominio nazista, si ritrovò a lottare di nuovo per il suo popolo e a difendere la libertà della Chiesa: nascose e aiutò ebrei in fuga, profughi e giovani che non volevano combattere a fianco di Hitler. I collaborazionisti lo fecero arrestare, insieme a un gruppo di seminaristi, con l’accusa – falsa - di traffici alla borsa nera. Scoppiò la guerra e in aprile gli Alleati cominciarono a bombardare il Paese mentre l’Armata Rossa si avvicinava a Budapest per “liberarla”. « Improvvisamente le guardie scomparvero e noi scappammo dalla prigione» ricordò il prelato. Ma il clima di terrore in tutta l’Ungheria non cessò. « Dalla mia finestra dell’episcopio vedevo i soldati sovietici che mettevano gli uomini al muro, cercavano le donne nascoste, portavano via dalle case cibo, vino, ricordi familiari e oggetti di valore – raccontò - ma il comando militare e le autorità locali non intervenivano». Si instaurò così un altro duro regime che avrebbe portato agli ungheresi altro sangue, ingiustizie e sofferenze. Vi fu una persecuzione religiosa, dapprima mascherata e poi sempre più esplicita. L’8 settembre del ’45, per volontà del Santo Padre, il coraggioso pastore è nominato arcivescovo di Esztergom e quindi primate d’Ungheria. La porpora arriverà cinque mesi più tardi. Anche per i nuovi comunisti Mindszenty diventerà il simbolo di un potere da demolire. «Sarò la coscienza del mio popolo – dichiarò nel discorso di insediamento – busserò come sentinella vigile alla porta delle vostre anime e predicherò le antiche verità eterne richiamando a nuova vita le sue sante tradizioni, senza le quali potrà forse vivere il singolo ma mai la nazione nel suo complesso». La sera del 26 dicembre del 1948, festa di Santo Stefano protomartire, il cardinale verrà arrestato, senza alcun un mandato della procura: « Non ce n’è bisogno – gli dissero i poliziotti venuti a prenderlo a casa – noi vigiliamo e sappiamo scoprire i traditori della patria, le spie e i contrabbandieri di valuta anche sotto la talare di un cardinale». Messo in una lugubre gattabuia, Mindszenty sarà ripetutamente picchiato, seviziato, drogato e costretto ad ascoltare oscenità dai suoi aguzzini: volevano fargli confessare reati contro il regime e un presunto contrabbando di valuta. Sarà sottoposto a un processo farsa e condannato all’ergastolo. Durante un interrogatorio, in preda a una crisi di nervi, il cardinale sottoscrisse una confessione ma aggiunse alla firma le iniziali C. F.: “Cardinalis Foraneus”, si giustificò. In realtà significava “Coactus feci”. Una piccola astuzia che aveva lo scopo di sollevarlo da responsabilità anche dinanzi ai posteri. Per otto anni in carcere a Mindszenty fu impedito di leggere i testi sacri e persino di inginocchiarsi. Si ammalò di tubercolosi. Nel 1956 venne liberato dai ribelli guidati dal maggiore Antal Pallavicini e si rifugiò nell’ambasciata Usa dove rimase fino al 1971. Morì a Vienna il 6 maggio del 1975 per un arresto cardiaco. Il 22 ottobre 1996 è stata avviata la causa di canonizzazione. Nel memoriale pubblicato nel 1974 il porporato ha raccontato tutta la sua vita. Di quel terribile periodo, tralasciò «solo quello che le decenza e il senso umano e sacerdotale dell’onore impongono di tacere».

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