giovedì 3 novembre 2022
La prova dell’infertilità, la sofferenza di un’attesa vana, il rifiuto della provetta. E la scoperta di un orizzonte nuovo. I coniugi francesi Olivier e Joséphine si raccontano in un toccante libro
Olivier e Joséphine Mathonat

Olivier e Joséphine Mathonat

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«Ho scritto il libro che mi sarebbe piaciuto leggere quando ci trovavamo con Joséphine nella tormenta. Spero che queste pagine possano incoraggiare le coppie che rischiano la solitudine». La tormenta in questione è l’intima sofferenza d’un matrimonio senza la gioia d’accogliere il dono di un figlio. Ma Olivier Mathonat e la moglie, coniugi francesi, credenti, sono riusciti a trasformare questa prova in un percorso di crescita umana e spirituale all’insegna di una fecondità più larga che prima in gran parte ignoravano. Un cammino impervio ma saturo d’emozioni raccontato nel toccante Vedi alla voce aspettare. Il cammino di una coppia senza figli (160 pagine, 15 euro), appena edito in Italia da San Paolo).

Uno dei verbi su cui lei insiste è ‘accettare’. Come si accetta la condizione di sposi non genitori?

All’inizio essere una coppia sterile ci appariva profondamente ingiusto. Poi, pian piano, abbiamo intrapreso un percorso, comprendendo pure che l’accettazione di una condizione simile non si può decretare. Occorre tempo, e per noi sono stati decisivi gli incontri. Innanzitutto, con medici competenti e rispettosi, capaci d’incoraggiarci e farci comprendere che il nostro percorso aveva un senso e non era per nulla assurdo. Ci ha molto aiutati anche la lettura dell’istruzione vaticana Donum Vitae (Congregazione per la Dottrina della fede, 1987) dandoci pure riferimenti intellettuali.

Accettare ha dunque significato arricchirsi, uscire dall’immobilismo...

Abbiamo vissuto un percorso molto intenso. Ci siamo battuti e ciò ha cambiato il nostro sguardo sulle cose. Nella vita tutti accettiamo un determinato lavoro, sofferenze fisiche, difficoltà di relazione. Accettare significa in realtà vivere, soprattutto se si è cristiani. Accettare la realtà e amarla con tutti i suoi limiti. Anche perché la vita è sempre più creativa e sorprendente di noi e dei nostri preconcetti.

Cosa avete scoperto, strada facendo?

Innanzitutto il bello che riserva ogni nuovo giorno, senza il bisogno di sognare altro, una vita migliore. Vuol dire amare la nostra condizione reale di sposi, con le ricchezze del lavoro, dell’amicizia, dei familiari. Certo, speravamo ardentemente di diventare genitori, ma occorreva uscire dal nostro recinto di attese, che non potevamo vivere solo per noi. La nostra vita è fatta per essere in relazione con gli altri. Di fronte al dolore, possiamo intristirci e magari invidiare chi ci circonda, oppure capire che siamo solo esseri vulnerabili, come tutti gli altri, ciascuno con le proprie sofferenze che meritano d’essere scoperte e accompagnate. Alla fine, abbiamo capito che la sofferenza può essere feconda.

Scrivete di aver coltivato la virtù della speranza…

Sì, abbiamo cercato di sostenere l’intima certezza cristiana di non essere mai soli. Siamo sempre aiutati, amati, accompagnati.

Quanto ha contato incontrare altre coppie senza figli? Permette di dirsi che non si è soli in una prova. È molto importante sentirsi compresi da chi vive esperienze simili. Non per lamentarsi, ma per vivere nuove dimensioni. Con il gruppo che abbiamo creato, Esperanza, abbiamo condiviso pure momenti d’amicizia nell’allegria, uscite, scoperte, lo sport in gruppo.

Un modo per capire tutte le dimensioni dell’essere sposi...

In modo forse un po’ ingenuo, associavamo inizialmente lo stare assieme al nostro ruolo futuro di genitori. Il nostro percorso ci ha permesso di capire che essere sposi è molto di più. Oggi pensiamo che la base della nostra coppia è innanzitutto l’amore che ci lega, un amore che proviene da Dio. Abbiamo riflettuto su aspetti che forse avremmo preso per scontati in altre circostanze. La fecondità, con tutte le sue sorprese, è il pilastro di una vita, qualunque sia la propria condizione. Una vita feconda è quella in cui apriamo gli occhi sui doni che riceviamo di continuo e su quelli che possiamo sempre offrire agli altri. Darsi affetto, tempo, sostegno.

Colpisce pure il vostro desiderio di non dare lezioni o consigli...

Su temi così personali non ci sono istruzioni per l’uso. Le cause dell’infertilità sono diverse, e già questo condiziona il modo in cui la si vive. Ogni coppia prova sentimenti diversi, pur cercando di giungere alla convinzione profonda che sofferenza e gioia non sono nemiche e possono convivere, come scriveva santa Teresa di Gesù Bambino. In una giornata si possono vivere entrambe.

Fra le “istruzioni per l’uso” abituali che voi rifiutate vi è pure la fecondazione artificiale, cui avete preferito la “procreazione naturale medicalmente assistita”, o naprotecnologia...

Un’applicazione automatica della morale della Chiesa può divenire vuota e sterile, volevamo capire. Così abbiamo scoperto che la visione della Chiesa su questo tema è magnifica, fonte di speranza e gioia, perché ci prende sul serio. Il percorso della fecondazione artificiale è spesso fonte di profonda delusione per una coppia. Abbiamo invece cercato e trovato un aiuto medico finalizzato a un concepimento naturale, la naprotecnologia. Un approccio scientifico ancor oggi sottovalutato.

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