sabato 11 giugno 2022
Sembrava una vita senza respiro, a rincorrere successi professionali. Ma il cuore cede di schianto, e tutto cambia. Così un 60enne milanese ha scoperto nel ricovero all'Auxologico che conta solo amare
Vita da manager, l’infarto che ribalta tutto, le nozze in ospedale...
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Dalla strada qualcuno grida «Viva la sposa!» brandendo una bottiglia di champagne. Affacciato sulla terrazza panoramica dell’ottavo piano del San Luca di Milano, il signor Enrico Vanelli sente e sorride. Ha appena detto sì alla sua Marika nell’auditorium dell’ospedale dove è ricoverato dal 21 febbraio, quando arrivò per un infarto «troppo tardi», come sottolinea Gianni Perego, direttore del Pronto soccorso e dell’unità coronarica.

«Come purtroppo spesso accade – spiega il primario – il paziente si è deciso a chiamare l’ambulanza dopo ore di dolore toracico. Quando l’abbiamo preso in carico aveva ormai buona parte del tessuto cardiaco compromesso. Dopo lunghe cure si è ripreso, ma la sua situazione resta delicata. Oggi è un giorno di gioia, seppur temperata dall’attesa di vederlo ristabilito».

Vanelli annuisce, conferma tutto. «Sì, è vero. Ho aspettato troppo. Ed è questo il mio messaggio: meglio andare al Pronto soccorso, nel dubbio. E meglio non trascurare la salute: bisogna dare importanza alla prevenzione, cosa che io non ho mai fatto». Il 19 aprile ha compiuto 60 anni al Niguarda, dove era stato momentaneamente trasferito per un aggravamento. Nella sua vita precedente mai aveva pensato che gli potesse capitare qualcosa di brutto.

«Ero troppo preso dal lavoro – dice Vanelli accennando alla sua carriera di manager –. Passiamo troppo tempo inseguendo cose non essenziali. Ma quello che mi è successo mi ha aperto gli occhi: ho capito che la vita è una sorpresa. Avevo già deciso di sposarmi, ma prima il Covid, poi altri problemi e impegni ci avevano costretti a rimandare. Qui ho deciso di non perdere altro tempo. Mi sono detto: se non ora, quando?».

Mentre parla, la dottoressa Gerardina Fratianni, che si occupa del suo complesso percorso di riabilitazione cardiovascolare, lo marca stretto. «Tagliamo corto con le interviste – ammonisce –, si sta stancando troppo. Facciamolo sedere». Vanelli però non si risparmia. Ricambia le felicitazioni e da dietro la mascherina sparge sguardi riconoscenti. «Devo dire grazie ai dottori, agli infermieri, a tutto il personale. Sono stati straordinari. Da fuori si dà tutto per scontato, solo quando entri nel sistema sanitario ti rendi conto da quali professionalità è costituito. Se sono qui è grazie a loro. E soprattutto alla dottoressa Simonetta Blengino, che mi ha salvato al mio arrivo in Pronto soccorso».

Due minuti dopo la dottoressa arriva. Minuta, due occhi neri penetranti, si china davanti a Vanelli e lo abbraccia per un istante infinito. Lui si commuove, lei pure. «Non so cosa dire – commenta, asciugandosi le lacrime – se non che in giorni come questi assaporo il piacere di fare il medico». Vanelli ribadisce: «Sono persone speciali, sono angeli». Parole e pensieri volano alto. Poi tornano giù, nel profondo della coscienza. Per confrontarsi con la paura che tutto possa finire all’improvviso. Ma anche per trovare una luce di speranza. «Sono cattolico, pur se a modo mio. Poco praticante. Ma in ospedale ho pregato molto, mattina e sera. Forse con un po’ di egoismo. Anche del Signore, come dei medici, ci si ricorda solo quando abbiamo bisogno...».

Rallentare, riflettere. Ecco la grande lezione. E imparare a prendersi più cura di se stessi e degli altri. Pronti a lasciarsi sorprendere dalle emozioni. Come quella, fortissima, che Vanelli prova quando la figlia Sofia, 10 anni, lo abbraccia da dietro le spalle. In mano ha un bouquet, e dopo il sì porge le fedi ai genitori. «Sei bellissima» le sussurra il papà. Marika, sua compagna da 12 anni, è sopraffatta dalla felicità. Vestita di rosso fiammante, con lo sguardo un po’ smarrito, ci mette qualche secondo ad afferrare le parole giuste. Strano posto per sposarsi, l’ospedale. «Non me lo immaginavo certamente così, questo giorno. Ma non conta il dove, conta con chi...».

Al fatidico «vi dichiaro marito e moglie» – è il primo pomeriggio di mercoledì 8 giugno – gli invitati esplodono in un applauso convinto. In sala ci sono una manciata di parenti, dottori e dirigenti. Le infermiere, che si sono autotassate per addobbare l’auditorium con fiori e decorazioni, scattano selfie «perché una cosa così non capita tutti i giorni». Sono testimoni di un amore capace di scavalcare sofferenza e preoccupazioni. «Lentamente lo abbiamo portato fino a oggi – commenta Lia Crotti, primario di Riabilitazione cardiologica dell’Istituto Auxologico italiano (di cui il San Luca fa parte) –. È stato bello organizzare insieme questa festa. Ora speriamo nella possibilità di mandarlo a casa in un prossimo futuro».
Il cammino però è ancora lungo e difficile, tanto che il paziente è stato inserito nella lista di attesa per un trapianto. Vanelli è fiducioso anche se, ammette scherzando, «il motore non è più quello di un tempo...». Inutile però piangersi addosso. Meglio pensare positivo. «Da qui si gode di un ottimo panorama – dice guardando i tetti di Milano e i grattacieli delle archistar che spuntano dal quartiere della vecchia Fiera – e c’è anche una bella temperatura. Cosa posso volere di più?».

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