sabato 19 febbraio 2022
A Oxford c'è una scienziata italiana che guida un'équipe di ricerca dalla quale sta nascendo un "angelo custode" efficace contro l'aterosclerosi, Si chiama Claudia Monaco. Ecco le sue scoperte
Claudia Monaco con la sua équipe di ricerca a Oxford

Claudia Monaco con la sua équipe di ricerca a Oxford

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Un fattore che protegge le arterie dall’aterosclerosi, e quindi che riduce il rischio di infarto, è stato individuato da un gruppo di ricerca guidato dall’italiana Claudia Monaco: lo studio è stato pubblicato il mese scorso su Nature Communications. Specializzatasi in Cardiologia presso l’Università Cattolica di Roma con il professor Attilio Maseri, Claudia Monaco è ora docente di Infiammazione cardiovascolare all’Istituto Kennedy dell’Università di Oxford (Regno Unito). «L’aterosclerosi – spiega – è una malattia subdola che restringe i vasi sanguigni, causando ostruzioni al flusso di sangue a organi vitali, come il cuore e il cervello, tramite un accumulo di grasso e trombi dentro il vaso stesso. Sappiamo che alcune forme di aterosclerosi (un processo comune a tutti con l’età) restano gestibili e croniche, mentre altre hanno un decorso problematico che causa infarti e ictus». La scoperta del gruppo di Claudia Monaco apre la strada a nuove strategie terapeutiche che migliorano la risposta immunitaria contro la placca aterosclerotica. Non si tratta di un gene o di una proteina ma di una nuova cellula di cui non si conosceva l’esistenza.

Come nasce la vostra ricerca?

All’Istituto Kennedy si studiano i processi infiammatori in diversi organi e patologie: gastrointestinali, oculari, reumatologiche, e anche cardiologiche. Qui, negli anni Ottanta, Marc Feldmann e Ravinder Maini misero a punto un anticorpo contro il tumor necrosis factor alfa, il primo anticorpo monoclonale usato nell’uomo, tuttora la principale terapia contro l’artrite reumatoide. Il professor Maseri (1935-2021) aveva avuto l’intuizione che le cellule infiammatorie siano importanti per l’infarto miocardico e l’aterosclerosi. Con lui, durante la mia specializzazione, verificavo infatti che l’infiammazione era elevata nei pazienti ricoverati in unità coronarica per infarto o sindromi pre-infartuali. Maseri diceva: studiamo i fattori di rischio (colesterolo, lipidi, dieta), ma ignoriamo i fattori protettivi. All’Istituto Kennedy con il professor Feldmann, a Londra prima e a Oxford poi, ho potuto giovarmi del clima di collaborazione tra specialisti diversi, tutti dediti a studiare nuovi modi di fermare i processi infiammatori.

Quali risultati avete ottenuto?
Con un progetto finanziato dall’Unione Europea, abbiamo scoperto che non tutte le le cellule del sistema immunitario sono patogeniche per le arterie. Alcune invece sono protettive. Questo è stato possibile grazie a nuove tecnologie, di single cell biology: abbiamo isolato le singole cellule delle arterie – sia nel modello animale (topo) sia nell’uomo – e abbiamo analizzato i loro geni e proteine una cellula alla volta con una speciale macchina (chiamata CyTOF, che raggiunge le temperature elevatissime della superficie del sole). Negli ultimi due anni, queste tecnologie innovative ci hanno permesso di individuare nella tunica più esterna delle arterie di medio e di grande calibro alcune cellule del sistema immunitario chiamate macrofagi "residenti" che avevano caratteristiche interessanti, perché esprimevano molecole capaci di proteggere l’arteria. L’esperimento su topi ingegnerizzati, in cui cioè riusciamo a eliminare cellule specifiche, ha dimostrato che senza questi macrofagi buoni l’aterosclerosi peggiora sensibilmente. Questi macrofagi sono presenti nelle arterie sin dalla nascita, per questo li abbiamo chiamati "angeli custodi".

E nell’uomo?
Anche nell’uomo si trovano questi macrofagi protettivi, gli "angeli custodi" delle arterie. Altre cellule immunitarie invece si accumulano quando comincia il processo di aterosclerosi, dall’adolescenza. Infatti questi macrofagi hanno due caratteristiche: non danno vita a un eccesso di infiammazione e hanno molecole che sono in grado di eliminare il colesterolo dalle arterie. Purtroppo questi macrofagi buoni diminuiscono con l’età, quando iniziano a manifestarsi processi di aterosclerosi. Studiando il recettore Clec4a2 che caratterizza i macrofagi buoni, abbiamo scoperto che è una molecola che, una volta attivata, riesce a convertire anche i macrofagi non protettivi in "angeli custodi".

Quali obiettivi ha ora la vostra ricerca?
Il nostro scopo è proprio di portare alla clinica le scoperte fatte in laboratorio. Quindi cerchiamo di realizzare un farmaco che attivi questa proteina, Clec4a2, per trasformare i macrofagi in "angeli custodi" e impedire che il loro numero declini con l’età. Infatti i farmaci antinfiammatori tradizionali riducono anche la capacità di rispondere alle infezioni. In questo modo, invece, attiveremmo difese innate che sono già dentro le arterie stesse, offrendo una protezione a chi non ne ha. Stiamo ora studiando un farmaco biologico, un anticorpo monoclonale, per realizzare a Oxford una immunoterapia che tenga attiva la proteina Clec4a2.

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