martedì 19 luglio 2005
La vita di famiglia perde ogni libertà e bellezza quando si fonda sul principio dell"«io ti do» e «tu mi dai».Se temete la solitudine, non sposatevi!Le avevo annotate tempo fa queste due aspre considerazioni sulla famiglia, probabilmente sulla base di qualche lettura estemporanea. Esse nascono anche dal pessimismo dei rispettivi autori e del loro contesto; tuttavia contengono una verità fin ovvia che merita attenzione. Il tema della vita di famiglia è, infatti, delicato e richiede un impegno serio e severo, pur in mezzo alle gioie e soddisfazioni che pure comporta. Partiamo con la prima frase che è desunta dal dramma Casa di bambola (1879) del famoso scrittore norvegese Henrik Ibsen, una storia di falsità, meschinità, ricatti e ipocrisie. Alla fine, infatti, si assiste allo sfacelo di una famiglia.Sfacelo che ha, certo, una delle sue radici più vigorose proprio nell"interesse e nell"egoismo. Se in famiglia viene meno la gratuità dell"amore, la generosità e la reciprocità, è inevitabile che si perda ogni freschezza, libertà e bellezza dello stare insieme e ci si riduca ad essere una "società" retta da una sorta di contratto rigido e pretenzioso. Si può, allora, precipitare nell"altro vizio tratteggiato con fiero scetticismo da Anton Cechov negli appunti dei suoi Quaderni. Il celebre scrittore russo ottocentesco, cresciuto in una famiglia disagiata, teme quella terribile solitudine a due che sfigura talvolta la coppia e lo fa con quel suo consiglio paradossale di non sposarsi per non essere alla fine soli. Sta di fatto che spesso l"incapacità di alimentare la fiamma dell"amore conduce a raggelare ogni legame e a far spegnere la sostanza stessa del matrimonio.
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: