venerdì 26 gennaio 2007
Chi è nell'errore compensa con la violenza ciò che gli manca in verità e forza. Goethe ha scritto nella sua non breve vita un piccolo oceano di opere, immense per qualità ma anche per molteplicità. Tra queste c'è un dramma in versi dedicato al nostro Torquato Tasso: lo sto leggendo e, anche se non mi conquista più di tanto, mi rivela talora alcuni squarci propri del genio. Mi colpisce, così, la frase che oggi propongo anche ai miei lettori. Si tratta di una considerazione forse semplice ma il cui significato è da misurare nella storia, anche personale. La verità fugge dalla violenza. Infatti, quest'ultima è prevaricazione, è supponenza, è autoaffermazione a prescindere dal merito delle questioni. Anzi, il più delle volte a ricorrere all'aggressione verbale o reale è proprio chi è in errore e non ha la possibilità di prevalere con la realtà dei fatti e la coerenza della logica. Quante assurdità e ingiustizie sono state avallate - nelle grandi vicende storiche ma anche nelle più modeste esperienze personali - attraverso la brutalità dell'attacco. C'è, però, un altro elemento nelle parole del grande poeta tedesco: la violenza non è necessariamente sinonimo di forza. Benedetto Croce lo ribadirà scrivendo che «la violenza non è forza ma debolezza», in un'opera dal titolo emblematico La storia come pensiero e come azione. Tante reazioni isteriche, molti sdegni dalle tonalità omeriche, certe proteste incontrollate rivelano spesso paure oscure, timidità e impotenza. Concludiamo, allora, con le parole di un altro grande, Pascal: «Tutte le luci della verità purtroppo nulla possono per arrestare la violenza. Ma tutti gli sforzi della violenza non indeboliscono la verità, anzi, la rafforzano» (nelle Provinciali).
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