
La Chiesa ama i salmi. Non sempre, però. È che queste venerabili preghiere che abbiamo ricevuto dall’antico Israele, per secoli pregate dai cristiani, contengono versetti di una tale violenza che la liturgia generalmente preferisce ometterli. Ora, in modo davvero sorprendente, uno dei passi più insopportabilmente violenti prende la forma di una beatitudine. In esilio a Babilonia dopo la distruzione di Gerusalemme, il salmista si scaglia contro i responsabili della sua infelicità: «Figlia di Babilonia devastatrice, beato chi ti renderà quanto ci hai fatto. Beato chi afferrerà i tuoi piccoli e li sfracellerà contro la pietra» (Sal 137,8-9).
L’immagine di bambini sfracellati contro la roccia non evoca immediatamente la felicità. Si può spiritualizzarla: diceva san Benedetto che questi bambini sono l’immagine dei cattivi pensieri che, ancora deboli quando non hanno avuto il tempo di crescere in noi, devono essere allora afferrati e spezzati contro quella roccia che è Cristo. Così è più comodo, ma forse troppo facile: non è forse importante che la collera dell’oppresso possa salire fino a Dio? Perché lo scopo di queste imprecazioni non è tanto ottenere la punizione dei malvagi, quanto che finalmente risplenda la giustizia di Dio, che porrà fine al regno dell’ingiustizia.
© riproduzione riservata
© Riproduzione riservata
ARGOMENTI: