giovedì 13 febbraio 2020
Non è facile oggi affrontare il tema del maschile, del femminile e della loro differenza. Il pensiero femminista, nato per rivendicare giustamente la parità della donna e il superamento delle diseguaglianze con l'uomo, ci ha orientato a sovrapporre il tema della diseguaglianza con quello della differenza sessuale, sostenendo che ciò che rende la donna soggetta all'uomo, limita la sua libertà di scelta e le impedisce di vivere la sessualità con lo stesso piacere del maschio è il legame specifico del suo corpo con la maternità. Liberata dal binomio obbligato sesso-figli, la donna potrà finalmente conoscere la stessa libertà e lo stesso piacere del maschio; eliminata la differenza sessuale il rapporto con l'uomo sarà parificato e dunque migliore. Purtroppo la concreta esperienza degli uomini e delle donne di oggi sembra indicare che tutto questo non è sufficiente: anche se sappiamo come escludere la procreazione dal sesso e abbiamo livellato i nostri comportamenti sociali e sessuali, il rapporto uomo-donna non è migliorato e non siamo nemmeno più felici. La realtà è che la differenza tra maschile e femminile è molto profonda, e non è solo questione di ruoli, di comportamenti, di inclinazioni affettive: l'uomo e la donna sono irriducibili l'uno all'altra perché incarnano attraverso la loro differenza sessuale due declinazioni diverse della comune umanità. Ciò che ci distingue non riguarda solo il modo di generare, ma anche tutta la dinamica del desiderio e del piacere, che sono e saranno sempre il luogo della più profonda differenza. Si tratta una differenza ineludibile e ineliminabile, non importa quanto cerchiamo di rendere simili i nostri comportamenti: nessuna donna sperimenterà mai il piacere secondo la modalità del maschio, e nessun maschio proverà mai le stesse sensazioni di una donna. La nostra anatomia, la nostra fisiologia, la nostra psiche, la nostra anima partecipano del desiderio in modo molto differente e ignorarlo ci rende estranei e infelici, incapaci di scambiarci amore. Così come ci rende infelici dimenticare la differenza che esiste tra un piacere sostanzialmente autoerotico e il piacere profondo e durevole che può scaturire in una relazione vera di amore e di scambio. Forse non ci rendiamo conto che siamo immersi oggi in una sessualità sostanzialmente autoerotica; non solo quella apertamente pornografica e masturbatoria, ma anche gran parte di quella vissuta in coppia, non importa a questo punto se etero od omosessuale: è infatti autoerotica (anche se vissuta in coppia) la sessualità di chi non vede e non cerca nell'altro un vero partner relazionale, ma piuttosto un oggetto del desiderio, qualcuno che soddisfa il mio bisogno, qualcuno che mi fa provare le sensazioni che cerco. L'unica novità è che non è più solo il maschio a pensare il sesso come pura soddisfazione del proprio piacere: anche la donna, potenziale maestra di relazioni, ha in troppi casi rinunciato a conoscere e amare la propria differenza, che le suggeriva anche come aiutare l'uomo a trasformare il bisogno in desiderio; rivendicando per sé quella che ha immaginato come una dimensione di libertà, ha finito spesso con il rendersi ancora più schiava delle esigenze del maschio. Eppure, questo "consumare" il sesso che è oggi comune sia al maschile sia al femminile è proprio ciò che appiattisce il desiderio, lo impoverisce e lo svuota, perché il semplice ripetersi del circuito bisogno-soddisfazione non può appagare una creatura così complessa come l'essere umano. Credo sia necessario affermare che la sessualità, dono prezioso del Creatore anche nel piacere che comporta, dà i suoi frutti migliori là dove la differenza non è negata, ma riconosciuta, valorizzata, esplorata con rispetto. La sessualità umana è veramente appagante solo là dove ci si fida, là dove ci si affida, là dove si può sfuggire all'idea dell'amore come tecnica e del sesso come prestazione. Là dove l'uomo e la donna si vogliono bene, e proteggono ciascuno come un dono prezioso l'intimità dell'altro.
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