giovedì 14 dicembre 2023
Roma, 10 dicembre. Mattina presto, stanotte è caduta una pioggia leggera. Nel cielo pallido le ultime nuvole si dileguano. Siamo scesi a Trastevere dalla Fontana del Gianicolo, quella generosa abbondanza limpida, incessante, alta sull’orizzonte della città. Siamo passati da San Pietro in Montorio, così austera e pura, e abbiamo contemplato la perfezione del Tempietto del Bramante. Sul luogo del martirio di Pietro. Restiamo in silenzio: qui tutto è cominciato. I vicoli di Trastevere, deserti. Ancora più bella, Roma che dorme. Tutta nostra pare, e di un gatto diffidente che da una finestra ci segue con i suoi occhi d’oro. Sui muri la vite americana è verde, e una bouganvillea è ancora rosa. Una bouganvillaea in fiore, a dicembre: Roma è uno scandalo per noi, gente di Milano.
Sopra a Santa Maria in Trastevere scivola via l’ultima nuvola della notte. Ci sediamo a un caffè, e in quel momento la nuvola va, e il sole colma la piazza. I colori delle case – rosa, rosso, arancio – si illuminano. Da un terrazzo un limone brilla, carico di frutti maturi. Perfino il porfido consunto dai passi luccica: in un attimo Trastevere trasfigura. Roma vive di sole, lo assorbe e lo riflette sulle facce degli uomini. E anche le nostre, cambiano. Nella Basilica i raggi dalle vetrate accendono l’oro del soffitto, illuminano le navate di ambra. Perfino i vecchi banchi di legno scuro, carichi di anni e preghiere, sembrano più chiari. Noi, ancora, muti. Forse occorre venire dal Nord per vedere pienamente la meraviglia di Roma. I turisti ne sembrano ubriachi. E anche io sono come ebbra. In una farmacia, una piccola donna che avrà 90 anni racconta dei suoi malanni. La dottoressa è indaffarata, c’è gente, eppure ascolta la vecchietta. Tutta vestita di nero, come una volta, un viso antico e gentile. Si congeda e ricorda: «Io accorcio e cucio, mi raccomando, fatemi lavorare», e va, sorridendo. Io, meravigliata: forse anche invecchiare a Trastevere è meno duro che a Milano? Là, al mattino, la folla che si precipita giù per le scale del metrò è un fiume che travolge. Qui a Trastevere il tempo scorre in un’altra gentilezza. In tanta bellezza ti rassereni. Quanta, e che gioia goderne per due giorni. Mentre contemplo il limone felice sento però in me una frase di Etty Hillesum, la giovane ebrea olandese morta a Auschwitz. Quando ancora Etty è Amsterdam, libera, ma già vede i rastrellamenti per le strade e i treni che partono carichi di ebrei per una destinazione ignota, un giorno nella sua stanza calda e piena di libri cari si domanda: come è possibile vivere in tanta pace, mentre attorno preme la ferocia. Perché questa domanda in una domenica di sole, a Santa Maria in Trastevere? Perché se appena apro lo smartphone mi si allargano davanti le macerie di Gaza annientata. Fumano, i resti dei palazzi sventrati, e qualcuno ancora si affanna, tra i varchi pericolanti, a cercare un figlio che manca. Oltre 17mila morti, di cui la metà bambini. A tre ore di volo da qui. Come la guerra mi appare lontana, eppure vicina, alla pace di Roma. Una sensazione di irrealtà. E le parole di Etty Hillesum, quasi sussurrate da un’amica. Nel sole di Natale a Trastevere, una ferita. Come un sogno: d’essere in una grande casa bella e ordinata, dove però, in stanze lontane, covano e divampano incendi. Ancora non sentiamo l’odore acre del fumo, ma le fiamme crepitano. Nell’istante perfetto del sole che colma Roma, un dolore straniero che preme. Gaza, Kiev, veramente siamo così lontani? «In una notte come questa – scriveva Etty guardando partire quei treni– bisognerebbe soltanto inginocchiarsi, e pregare». © riproduzione riservata
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