giovedì 12 aprile 2007
Quando l"ultimo albero sarà stato tagliato, l"ultimo animale abbattuto, l"ultimo pesce pescato, l"ultimo fiume avvelenato, allora ci accorgeremo che il denaro non si può mangiare.Così gli indigeni nordamericani rispondevano a coloro che proponevano di trasformare le loro terre in sedi di industrie, moltiplicando lo sfruttamento delle risorse naturali. Certo, non si può coltivare solo il sogno di un idillio ecologico, ma noi "civili" siamo andati così avanti in questa devastazione della natura da esserci ridotti spesso ad avere sulle nostre tavole dei gran piatti di dollari o di euro, mentre non riusciamo più a respirare per l"aria inquinata, siamo avvelenati da cibi corrotti, siamo malati per contaminazioni impalpabili e pervasi da virus ignoti.«Coltivare e custodire la terra», ammoniva la Genesi (2, 15): quindi, lavorarla, trasformarla, ricavarne sostanze ed energie, ma anche proteggerla, tutelarla, «custodirla» appunto come un bene delicato e prezioso. In essa c"è la vita che è un dono inestimabile, dotato di segreti da scoprire ma che è anche una realtà da non manipolare brutalmente, illudendosi di essere arbitri assoluti. L"uomo moderno così altezzoso si erge sulla terra come un tiranno prepotente: basti solo pensare " senza ricorrere alle grandi tragedie ambientali " al ragazzo che sfregia i monumenti, all"adulto che sporca strade e campi, alla persona che scarica in un fiume i suoi rifiuti. È, questo, un peccato vero e proprio contro la natura che è in noi e fuori di noi.
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