domenica 21 ottobre 2018
Il treno carico di reduci, feriti, congelati varcò alle prime luci dell'alba il Brennero. Erano in tanti, alla partenza dall'Italia, ignari, e così giovani. Il convoglio che scendeva lungo l'Adige invece andava adagio, i soldati silenziosi. Era il 19 marzo '43. Mio padre si affacciò al finestrino: nella primavera incipiente la valle dell'Adige, dopo tanto freddo e tanta morte, gli sembrò, disse, «uno straordinario meraviglioso giardino». Lo raccontavo ai figli bambini, quando d'estate risalivamo l'autostrada del Brennero verso le Dolomiti: «Sapete, il nonno Egisto, quando è tornato dalla guerra in Russia, è passato per questi binari che corrono qui accanto. Era ridotto pelle e ossa per la fame e il gelo e il massacro sul Don». Dai sedili posteriori i tre, tra gli otto e i dodici anni, tacevano. Difficile immaginarsi quel nonno mai visto. E perché era andato fino in Russia, e perché la fame, e la morte? Tutta un'altra Italia avevano conosciuto loro. La fame, mai saputa. La guerra poi, nei film, pareva eroica, quasi bella. I figli dei reduci, almeno, sanno. I figli dei figli hanno dimenticato. E chi ha dimenticato, può ricominciare. Invisibile ai miei tre, il meraviglioso giardino scorto al di qua del Brennero, un 19 marzo remoto, da un giovane ignoto soldato.
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