giovedì 28 dicembre 2006
La morte ha mille mani e cammina lungo mille sentieri. Può giungere quando tutti la vedono e può passare inosservata e non udita. Può giungere come un sussurro all'orecchio o come un colpo improvviso sul cranio. Un uomo può camminare di notte con una lampada e tuttavia cadere in un fossato. Può salire lungo una scala di giorno e scivolare su un gradino malfermo. Può sedersi a mensa e sentire all'improvviso un gelo nelle midolla. In realtà queste frasi sono nel testo originale scandite da tre personaggi diversi, il coro, i preti e i tentatori, ma le loro voci s'infilano come perle su un unico tema che ha per protagonista la morte col suo lento e implacabile avanzare. Siamo nell'Assassinio nella cattedrale di Thomas S. Eliot, uno dei poeti più alti del Novecento e dei più cari a me. L'ho voluto ancora riproporre e questa volta le sue parole rivelano una certa asprezza: si seguano le scene di morte improvvisa e inattesa che egli fa scorrere davanti ai nostri occhi. Ma la giornata liturgica di oggi, con la strage di stato ordinata da Erode con le piccole vittime innocenti, e il declinare di un altro anno ci devono spingere a guardare in volto questa presenza costante nella nostra esistenza, ossia la compagnia segreta della morte. Essa intreccia la sua mano già con la nostra, sussurra all'orecchio oppure si fa sentire col dolore atroce di una malattia. Ma è lì anche dove tutto parla d'altro, nei viaggi, nei pranzi, nella quotidianità. Esorcizzarne la vicinanza, non pensandoci mai, non ci libera dalla sua realtà. Pensarci e prepararci alla sua chiamata è, invece, un segno di serietà, un principio di verità, uno stimolo alla moralità.
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