Un approccio planetario per guarire i malanni (economici) dei campi
domenica 14 febbraio 2016
L'agricoltura stringe i denti e serra le file. Di fronte agli ultimi numeri sull'andamento della produzione nazionale, in particolare su Pil e industria, le imprese agricole sollevano il problema dei costi di produzione, dei prezzi di vendita e della concorrenza sleale. I campi, in altre parole, continuano ad essere una grande risorsa per il Paese, ma stanno soffrendo. E non solo a causa del clima bizzarro.«Non deve ingannare il fatto che l'agricoltura insieme, ai servizi, abbia fatto registrare una variazione congiunturale positiva del valore aggiunto in contrasto con la flessione del comparto dell'industria concorrendo all'andamento positivo del Pil nel quarto trimestre del 2015 secondo l'Istat», dice Coldiretti che per avvalorare il ragionamento mette in fila numeri impressionanti relativamente ai prezzi all'origine dei prodotti alimentari. I coltivatori si rifanno all'Ismea, che indica come a inizio febbraio i prezzi nelle campagne italiane avrebbero subito un crollo nel vero senso della parola: dal -60% per cento dei pomodori al -30 % per il grano duro fino al -21% per le arance rispetto all'anno scorso. Remunerazioni che sarebbero «al di sotto dei costi di produzione» e che mettono «a rischio il futuro della Fattoria Italia». E, per i coltivatori, gli esempi specifici non mancano. I bovini da carne sono pagati su valori che si riscontravano 20 anni fa; il latte da marzo sarà pagato senza particolari accordi gettando il comparto nell'anarchia. In crisi anche la cerealicoltura. Colpa, dicono sempre gli agricoltori, dell'industria ma anche di chi ha ritardato scelte legislative che potevano rimediare alla crisi. Colpa anche, occorre dirlo, del clima con l'andamento delle stagioni completamente alterato, così come delle importazioni senza particolari controlli accentuate dal riversarsi sui mercati europei dei flussi di merce che l'embargo della Russia ha respinto.Coldiretti parla ormai di delocalizzazione agricola «che per prima ha colpito la produzione agricola con l'acquisto di grano, latte e carni dall'estero, poi i marchi storici del Made in Italy finiti in mani straniere e adesso interessa anche gli stabilimenti industriali con pesanti effetti sull'economia e l'occupazione». Un fenomeno vasto, dunque, che non coinvolge solo "i campi" in senso stretto. E che deve quindi essere affrontato non solamente dal punto di vista agricolo, ma anche da quello dei consumi, industriale e distributivo. Un approccio che, fra l'altro, non può essere limitato ad un fronte nazionale e nemmeno arrivare solo ai confini dell'Europa. Il ragionamento sul cibo e sull'ambiente (naturale ed economico), che ruota attorno al cibo, ancora una volta va fatto a livello globale.
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