giovedì 12 giugno 2003
Una società in cui il culto della tradizione sia onnipotente è condannata alla stagnazione. Una società in cui la ribellione contro la tradizione sia universale è condannata all'annientamento. Le società producono sempre sia lo spirito della conservazione, sia lo spirito della rivoluzione: entrambi sono necessari. Così scriveva nel 1970 uno dei più significativi filosofi del '900, il polacco Leszek Kolakowski. Quella che egli descrive è un'esperienza che non regge solo le società ma anche le stesse Chiese e, per certi versi, la vicenda personale di ciascuno di noi. Da un lato, c'è l'eredità che si è ricevuto e che contiene semi vitali che continuano a generare ma che trascina con sé anche molti detriti pesanti e soffocanti. D'altro lato, c'è il fremito della vita e della storia che continua a progredire, a inoltrarsi nel futuro, a dischiudere scenari sempre nuovi, ma che ci vota all'incertezza. Se ci si ferma in una gretta conservazione del passato, si cade nell'immobilismo, nell'atteggiamento nostalgico, nella stagnazione: basti solo, come esempio, pensare a certi rigurgiti "passatisti" in ambito religioso, sul modello lefebvriano, ultraconservatore e fondamentalista. Se, invece, ci si abbandona alla demolizione di tutto il passato, tagliando le proprie radici culturali e spirituali, indulgendo a mode sempre più inconsistenti e mutevoli, ci si incammina verso il relativismo, la banalità, l'annientamento dei valori. Spirito di fedeltà e spirito di novità dovrebbero stare insieme, proprio come accade nella natura che all'evoluzione intreccia una permanenza di fondo. Tenere questo equilibrio - prima di tutto per noi stessi - non è facile, ma è necessario, se non si vuole cadere nella gelida fissità o nella frenesia confusa.
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