Tra pensioni pubbliche e rendite vitalizie il nodo dell'età
sabato 24 ottobre 2015
Il dibattito di questi mesi si sta concentrando sulla necessità di rendere più flessibile l'età di pensionamento di legge. Il motivo è legato ad una contingenza ben nota che riguarda non solo i cosiddetti esodati, ma più in generale una fascia di età che diviene sempre più a rischio lavoro: i 50-60 anni. I dati Eurostat, infatti, evidenziano che in Italia lavora circa il 46% dei cittadini di età compresa tra 55 e 64 anni. I motivi per i quali in Italia un 60enne non è desiderabile per il mondo del lavoro sono diversi: si va dalla semplice constatazione di una produttività che decresce mentre il costo/reddito da lavoro cresce, ai dubbi sull'utilità di una esperienza analogica nel mondo digitale, al tema della scarsa attitudine a parlare i linguaggi del mondo. Le conseguenze per i lavoratori sono nitide, e prefigurano una possibile fase temporale nella quale si è troppo vecchi per lavorare (o ritrovare lavoro) ma troppo giovani per andare in pensione. In questi casi, le previdenze pubbliche non sono fruibili, e neppure le previdenze complementari danno una mano, perché le norme prescrivono che la prestazione pensionistica di un fondo pensione parta in contemporanea con quella pubblica. Fortunatamente, c'è una forma di pensione vitalizia che non è strettamente legata all'età pensionistica di legge e che consente al singolo sottoscrittore di scegliere liberamente la data di inizio della propria rendita pensionistica. Lo strumento in questione si chiama polizza di rendita e garantisce dalla data prescelta un vitalizio periodico. È un prodotto assicurativo che sta vivendo una rinascita proprio perché consente di anticipare l'erogazione di una rendita rispetto al tempo della pensione, e dunque offre un pavimento di sicurezza di base che consente di gestire quella fase di transito che può iniziare a fine lavoro e finire ad inizio pensione pubblica. Stupisce, pertanto, notare che ultimamente le polizze in questione vengano proposte anche da compagnie assicurative di gran nome non per dare pensioni da 55-60 anni, ma addirittura a partire dai 70 anni di età. Questo ci pare in aperta controtendenza con la funzione della previdenza privata, che è quella di una tutela personalizzata e individuale capace di integrare e compensare le standardizzazioni delle previdenze complementari e pubbliche. I motivi di tale comportamento sfuggono pertanto ad ogni comprensione, e lasciano pensare più ad un interesse dell'offerta a gestire denaro per lunghissime durate che a una cura del benessere degli utenti. Le polizze pensionistiche private servono prevalentemente a costituire propri ammortizzatori di sicurezza che consentano di gestire situazioni impreviste. Se i denari arrivano dopo quelli dell'Inps, forse se ne può fare a meno.
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: