sabato 23 agosto 2003
Mi è rimasta impressa una frase nella poesia "Orly" di J. Brel. La poesia parla dell'addio di due amanti, per sempre. Lui sulla scaletta dell'aereo in partenza, lei dietro la vetrata dell'aeroporto. Da lontano l'ultimo sguardo doloroso. «Ils se tiennent par les yeux», si tengono con gli occhi. «Quando la sera spengo la luce, rivedo figure ed episodi spesso banali che hanno illuminato il percorso della vita. Riaccendo un attimo la luce, segno l'appunto su un foglietto a lato sul comodino». Così un amico medico, ormai ottantacinquenne, di Rho (Milano), introduce l'ultimo dei libretti che dedica alle sue memorie e che invia agli amici. Rimane impressa anche a me la scena evocata dalla composizione poetica del cantautore francese Jacques Brel, forse perché capito spesso in aeroporti e, nelle attese, si è non di rado tentati di intuire le storie che stanno dietro le persone in partenza.
È vero: il momento più intenso per gli innamorati o i coniugi o per i genitori o i figli che si separano è quello dell'addio, soprattutto quando si sa che il distacco sarà lungo. L'ultimo bacio, la stretta estrema della mano anche al di là del varco dei controlli e poi quel «tenersi con gli occhi» o, meglio, «tenersi per gli occhi», come per mano, nonostante la distanza. Vorremmo oggi spezzare una lancia a tutela della tenerezza dei sentimenti, spesso umiliati dalla volgarità o dalla superficialità, e in difesa del silenzio e dello sguardo come strumenti di comunicazione, di intimità, di affetto. Sia con Dio sia coi propri cari bisognerebbe stare insieme - soprattutto in questi giorni di tranquillità e di convivenza più continua - in modo tacito e quieto, «tenendosi con gli occhi». Il grande Pascal ricordava che nella fede come nell'amore i silenzi sono più eloquenti delle parole.
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