martedì 30 gennaio 2018
Ci sono pagine, emerse negli anni come il frutto di particolari congenialità, che restano dentro di me alla medesima stregua di cimeli interiori pronti a ciondolare appena glielo chiedo. Tipo questa di George Bernanos, ricavata da un suo antico romanzo, Sotto il sole di Satana: «Com'è lunga la strada del ritorno, la lunga strada! Quella degli eserciti sconfitti, la strada della sera che non conduce a niente, nella polvere vana!… Eppure bisogna andare, bisogna camminare, finché batte questo povero vecchio cuore - per niente, per consumare la vita - perché non c'è riposo finché dura il giorno, finché l'astro crudele ci guarda col suo unico occhio, da sopra l'orizzonte. Finché batte questo povero vecchio cuore.» Cito spesso le righe di cui sopra perché, pur nella loro nostalgica malinconia forse scaturita da un sentimento della fatalità, mi sembrano racchiudere un nucleo vitale incandescente, cocciuto e non rassegnato, come sempre dovrebbe essere la risoluzione dell'uomo inquieto e insoddisfatto: il ritmo dei passi che ogni individuo, comunque sia, è chiamato a tenere prima di raggiungere, almeno si spera, la sua vera dimora lasciandosi alle spalle quella che un altro grande scrittore, da me molto amato, Silvio D'Arzo, chiamava Casa d'altri.
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